Come avviare un processo di privatizzazione e vendita dei
Beni Culturali spacciandolo per una operazione di salvaguardia del
nostro patrimonio?
L’articolo qui a fianco, che riportiamo parzialmente, mette
in evidenza alcuni aspetti interessanti che cercano di smascherare
il “Codice Urbani”.
Una operazione che, insieme a quella delle Fondazioni di
gestione ancora oggi, nei posti di lavoro, viene taciuta da
Cgil-Cisl-Uil.
Guardiamo i fatti:
Con la fiducia al
“decretone” collegato all’ultima Finanziaria e
l’approvazione del “silenzio-assenso” è emersa la volontà
del governo di accelerare la procedura per inserire anche i Beni
culturali nel patrimonio che al più presto potrà essere messo in
vendita allo scopo di colmare i buchi del bilancio.
L'approvazione del principio del silenzio-assenso, in una
materia così delicata come quella del pronunciamento della
Soprintendenza per la salvaguardia del patrimonio culturale,
costituisce una pagina nera che conferma ciò che la RdB va dicendo
da anni: sottoporre tutela e gestione dei Beni culturali a una
logica mercantile.
- Tre anni fa a tener banco fu la proposta
di prevedere la possibilità di cedere ai privati la gestione dei
musei statali.
Ci volle allora non solo la
mobilitazione nostra e dei lavoratori, di tanta parte della cultura
italiana, ma un appello allarmato dei direttori dei principali musei
di tutto il mondo per costringere il governo a fare marcia indietro
e a limitare l'eventuale privatizzazione ai servizi per il pubblico.
Ma intanto l'idea che i beni culturali
potevano essere usati per fare cassa era lanciata, in continuazione
con il processo già in opera dei precedenti governi.
Ed infatti,
proprio mentre si discuteva della gestione dei musei, passava quasi
alla chetichella la famosa legge 410 del 23 novembre 2001, sulla
privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico meglio nota come
cartolarizzazione: cioè una legge che sarebbe diventata la madre
non solo della famigerata "Patrimonio S.p.A.", ma della
altrettanto famigerata Scip che ha proceduto e sta procedendo alla vendita
dei beni pubblici.
- Un anno dopo
il governo è tornato alla carica, inserendo in un maxiemendamento
alla finanziaria la previsione dell'affidamento a soggetti non
statali della gestione nientemeno che dei beni culturali di
interesse “nazionale”. (art. 80). Anche qui l'immediata
denuncia e mobilitazione consentì di tamponare la falla. Ma il
governo approfittò della vigilia di Natale per inventare con un
decreto legge la nuova figura giuridica della "dismissione
urgente": che portò a mettere in vendita in tre giorni decine
di immobili in tutta Italia, senza alcun vaglio preventivo, anche
nei casi di beni di carattere storico, da parte degli organi
scientifici del Ministero per i Beni e le Attività culturali.
- Poi c’è stata la Finanziaria 2003 e
l'offensiva è diventata ancora più massiccia, perché al centro
del collegato alla finanziaria approvato a colpi di fiducia, con
l'obiettivo di portare un po' di soldi nelle casse dello Stato, sono
passate due operazioni che costituiscono una grave minaccia per il
patrimonio culturale e per l'ambiente: ossia il nuovo condono
edilizio e una enorme vendita del patrimonio immobiliare dello Stato
e degli altri enti pubblici.
E
i lavoratori? Nulla di
buono, se pensiamo al Museo Egizio di Torino, prima sperimentazione –già in atto- delle Fondazioni,
con il cambio di contratto riservato al personale. Poi toccherà al
Museo delle Navi Romane di Pisa, per finire con gli Uffizi e Pompei.
E’ una pratica oscena che richiede
una mobilitazione forte dei lavoratori e che solo la RdB può
mettere in piedi perché molti di quelli che dicono di essere
contrari, Centrosinistra, Cgil e il resto dei sindacati
concertativi, sono comunque sostenitori delle privatizzazioni,
semmai più caute ma sempre di privatizzazioni si tratta!
Roma, 24 marzo 2004
p/Coordinamento Nazionale
Ciro
Borrelli |
Urbani non ne dice una giusta
Vittorio
Emiliani
L’Unità
22-MAR-2004
Il ministro dei Beni Culturali, Giuliano Urbani, è stato
ospite sabato sera della bella, utile e spiritosa trasmissione
di Fabio Fazio Che-tempochefa. Doveva spiegare novità e pregi
della legislazione promossa dal suo governo per il patrimonio
storico e artistico e per il paesaggio della Nazione, tutelari
dalla Repubblica, secondo l'articolo 9 della Costituzione.
Per prima cosa ha detto che in base alle
leggi precedenti i beni culturali demaniali, pubblici, ecc.
potevano essere venduti, infatti gli elenchi ora predisposti
dall’Agenzia del Demanio sono stati redatti in base ad un
Regolamento del 2000.
Non è vero. È vero invece che in base
alle leggi Bottai del 1939 recepite nel Testo Unico del 1999 i
beni immobili pubblici (perché di questi soprattutto si
tratta) erano inalienabili in quanto tali. Infatti molti di
essi, anche importanti, non vennero neppure sottoposti a
vincolo perché non ve ne era bisogno essendo incedibili
(fatte salve rare eccezioni).
Poi, nelle votazioni alla Camera per la Finanziaria 2000,
la Lega Nord infilò un emendamento che ribaltava questo
principio: tutti i beni diventavano dunque alienabili, salvo
eccezioni. L'intero Polo (si presume anche Forza Italia e
magari pure 1' on. Urbani) votarono quello sciagurato
emendamento e, ahi-noi, pure una parte dell'Ulivo.
L'emendamento passò. Ma la Finanziaria doveva essere ancora
vagliata dal Senato e le associazioni di tutela, il gruppo dei
Verdi e altri sollecitarono l'allora ministro Melandri a
rimediare a quella enorme falla. Il Senato votò un ordine del
giorno che impegnava il governo a varare un Regolamento che
ripristinasse il principio fondamentale (tutti i beni
culturali pubblici sono inalienabili salvo eccezioni
autorizzate dalla Soprintendenze) e normasse le eccezioni.
Una commissione lavorò mesi. Produsse
un testo approvato da tutti, compresi i Comuni e le Province
divenuto il Regolamento n.283 emanato con decreto
presidenziale Ciampi il 7 settembre 2000.
Cardine di esso: la predisposizione di
elenchi da parte degli Enti pubblici proprietari di quei beni
e il loro invio alle Soprintendenze Regionali le quali
avrebbero operato entro 24 mesi le opportune integrazioni
inserendoli nell'elenco previsto. Le richieste di affitto, di
cessione in uso a privati, dovevano essere accompagnate da un
piano di utilizzo dettagliato. Se il piano non fosse poi stato
realizzato in modo adeguato, la Soprintendenza poteva revocare
la cessione in uso.
Sabato sera Giuliano Urbani, dopo aver
definito sciocchezze i due principi ricordatigli da Fabio
Fazio (inalienabilità generale con eccezioni; alienabilità
generale con eccezioni) ha vantato la superiorità del suo
Codice sulle leggi precedenti. Senonché gli è scappato«Prima si pensava di vendere». E ha calcato su
quel si vuole.
È Tremonti che vuole, per fare cassa.
Altrimenti perché avrebbe creato la Patrimonio SpA, perché
non tenersi stretto il Regolamento Melandri?
L’anno successivo
il governo è tornato all’assalto Due anni fa il governo è tornato all'assalto,
inserendo in un maxiemendamento alla finanziaria
la previsione dell'affidamento a soggetti non
statali della gestione nientemeno che dei beni
culturali di interesse “nazionale”. (art.
80) Anche qui l'immediata denuncia e
mobilitazione di esponenti del mondo della
cultura, sindacale e politico
consentì di tamponare la falla. Ma il
governo approfittò della vigilia di Natale per
inventare con un decreto legge la nuova figura
giuridica della "dismissione urgente":
che portò a mettere in vendita in tre giorni
decine di immobili in tutta Italia, senza alcun
vaglio preventivo, anche nei casi di beni di
carattere storico, da parte degli organi
scientifici del Ministero per i Beni e le
Attività culturali.
Poi c’è stata la Finanziaria 2003 e
l'offensiva è diventata ancora più massiccia,
perché al centro del collegato alla finanziaria
approvato a colpi di fiducia, con l'obiettivo di
portare un po' di soldi nelle casse dello Stato,
sono passate due operazioni che costituiscono
una gravissima minaccia per il patrimonio
culturale e per l'ambiente: ossia il nuovo
condono edilizio e una enorme (mai vista prima!)
vendita del patrimonio immobiliare dello Stato e
degli altri enti pubblici.
Il pericolo concreto è
che, nella miriade di proposte riguardanti il
patrimonio culturale cosiddetto minore, una
struttura ministeriale ormai estremamente
impoverita di uomini e di mezzi non sia in grado
di garantire quel vaglio scientifico puntuale e
approfondito che eviti la svendita di beni che
nel loro insieme costiituiscono la straordinaria
ricchezza della cultura e della storia italiana.
L’operazione ci sembra sia riuscita a mettere
a tacere alcuni illustri avversari delle
alienazioni. Lo stesso Salvatore
Settis,ha smesso di denunciare l’operato di
Urbani cercando di evidenziarne un lato buono, a
dispetto di Tremonti, descritto come il
“falco” del governo. E’ questa una visione
che non ci convince: ci sembra ormai che lo
stesso Settis sia troppo impegnato a mantenere
degli equilibri politici che a portare avanti
una vera battaglia – dall’interno – contro
la privatizzazione.
La RdB è impegnata contro l’intera
politica del governo che imposta in termini
economicistici e mercantili l'intervento in
questo campo e così compromette le radici di
una seria azione di salvaguardia.
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Appunto perché si vuole vendere.
Allora, quali beni sono classificati
inalienabili dal Codice e quali lo erano per le tanto
spregiate leggi precedenti? Vediamo un po'.
Secondo il Regolamento n.283,
inalienabili erano:
1 ) i beni riconosciuti con legge
monumenti nazionali;
2) i beni di interesse particolarmente
importante a causa del loro riferimento con la storia
politica, militare, della letteratura, dell'arte e della
cultura in genere;
3) i beni di interesse archeologico;
4) i beni che documentano l'identità e
la storia delle istituzioni pubbliche, collettive,
ecclesiastiche, cioè sedi o ex sedi di Municipalità, di
Vescovadi, di Accademie, ecc.
Cosa
resta nel tanto decantato (dal ministro) Codice Urbani?
Restano i beni archeologici e gli
immobili riconosciuti come monumenti nazionali.
Sparisce però completamente il punto 2
e diventa molto vago il punto 4. Quindi c'è un palese
indebolimento.
Ma Urbani ha aggiunto: stavolta gli
elenchi li facciamo noi.
Una mezza verità poiché li sta facendo
l'Agenzia del Demanio e li invia al Ministero.
Non ci sono più di mezzo gli Enti
pubblici. C'è l'Agenzia del Demanio che vuole vendere e che
da un prezzo pure all'isola di Giannutri o alla Villa di
Tiberio.
Vi è di più e di peggio: il ministro
Urbani ha consentito che nel suo Codice venisse introdotto il
congegno tremontiano del silenzio/assenso.
Se le Soprintendenze non rispondono alla
richiesta dell'Agenzia del Demanio nel termine di 120 giorni
(che poi si riducono in realtà a 30), dando motivato parere,
il loro silenzio equivale ad un si venda.
Secondo il ministro, è un lavoretto da
poco per le Soprintendenze.
Secondo il soprintendente regionale
delle Marche, Francesco Scoppola, uno dei più preparati, il
nostro lavoro, soltanto per i beni demaniali, si moltiplicherà
per sette.
Poi c'è il condono edilizio voluto da
Tremonti (al quale Urbani si è blandamente opposto).
Silenzio tombale di Urbani invece su di
un altro punto chiave del condono: per la prima volta vengono
sanati anche abusi commessi in parte su suoli demaniali.
Mai accaduto.
Un altro varco aperto nella tutela.
A quando condoni totali sul demanio
marittimo, fluviale, ecc.?
- Un anno dopo
il governo è tornato alla carica, inserendo in
un maxiemendamento alla finanziaria la
previsione dell'affidamento a soggetti non
statali della gestione nientemeno che dei beni
culturali di interesse “nazionale”.
(art. 80). Anche qui l'immediata denuncia e
mobilitazione consentì di tamponare la falla.
Ma il governo approfittò della vigilia di
Natale per inventare con un decreto legge la
nuova figura giuridica della "dismissione
urgente": che portò a mettere in vendita
in tre giorni decine di immobili in tutta
Italia, senza alcun vaglio preventivo, anche nei
casi di beni di carattere storico, da parte
degli organi scientifici del Ministero per i
Beni e le Attività culturali.
- Poi c’è stata la Finanziaria 2003 e
l'offensiva è diventata ancora più massiccia,
perché al centro del collegato alla finanziaria
approvato a colpi di fiducia, con l'obiettivo di
portare un po' di soldi nelle casse dello Stato,
sono passate due operazioni che costituiscono
una grave minaccia per il patrimonio culturale e
per l'ambiente: ossia il nuovo condono edilizio
e una enorme vendita del patrimonio immobiliare
dello Stato e degli altri enti pubblici.
E
i lavoratori?
Nulla di buono, se pensiamo al Museo Egizio di Torino, prima sperimentazione –già in atto- delle
Fondazioni, con il cambio di contratto riservato
al personale. Poi toccherà al Museo delle Navi
Romane di Pisa, per finire con gli Uffizi e
Pompei.
E’ una pratica oscena
che richiede una mobilitazione forte dei
lavoratori e che solo la RdB può mettere in
piedi perché molti di quelli che dicono di
essere contrari, Centrosinistra, Cgil e il resto
dei sindacati concertativi, sono comunque
sostenitori delle privatizzazioni, semmai più
caute ma sempre di privatizzazioni si tratta!
Roma, 24 marzo
2004
p/Coordinamento Nazionale
Ciro Borrelli
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E i Musei, diverranno privati? Urbani ha svicolato così: la
proprietà dei Musei rimarrà pubblica.
La proprietà, certo. Ma l'intera
gestione diventerà privata. A cominciare dal Museo Egizio di
Torino.
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