NUOVO CODICE DEI BENI CULTURALI

Urbani bocciato dalle Regioni

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Il processo di privatizzazione e dismissioni dei beni culturali portato avanti dal ministro Urbani non ha vita facile: questa volta interviene la Conferenza dei Presidenti delle Regioni che lo scorso 24 ottobre ha votato un documento che si esprime negativamente sullo schema di “Codice dei Beni Culturali”, approvato dal Consiglio dei Ministri in via preliminare.

“Il quadro che emerge – si legge nel documento - è allarmante ed è tale da determinare un giudizio negativo su tale testo. Le Regioni ribadiscono la validità delle affermazioni di un documento congiunto Conferenza Regioni, e pur riconoscendo in modo netto la responsabilità del Ministero per la “tutela dei beni culturali”, ritengono che tale funzione debba essere esercitata con il concorso delle Regioni e degli Enti locali, avendo come obiettivo comune la valorizzazione, lo sviluppo e la crescita culturale del Paese.

Le Regioni chiedono quindi al Governo e alle Commissioni Parlamentari competenti di riaprire un confronto serrato su tali temi per verificare la possibilità di un’intesa. Nel caso in cui tale strada non sia percorribile, si richiede che il Codice si limiti a riordinare la materia della “tutela dei beni culturali”, escludendo ogni norma relativa alla valorizzazione dei beni culturali e alla tutela dei beni paesaggistici.”

Il nuovo codice dei beni culturali è un ulteriore svolta verso lo smantellamento del settore e la sua esternalizzazione. 

Negli ultimi due anni il ministro Urbani ha accelerato il processo di privatizzazione dei Beni Culturali, spacciato come una operazione ineludibile, iniziato dai suoi predecessori di Centro Sinistra: i lavoratori devono sapere che la dismissione di musei, gallerie, palazzi storici, il taglio dei fondi, l’uso spregiudicato di personale precario (co.co.co., Atm, giubilari, dipendenti delle società miste…), trasformeranno in futuro la loro condizione lavorativa, fino a renderli, complice la politica concertativa di cgil-cisl-uil, sempre più ricattabili, deboli contrattualmente e sindacalmente, e sicuramente più flessibili. Altro che riqualificazione e professionalità!! Con la privatizzazione sarà anche a rischio il “posto fisso”.


Lo sciopero del 7 novembre di tutta la giornata è l’occasione per dimostrare la nostra opposizione alla scellerata politica del governo in materia di beni culturali.