INTERVENTO RdB a Convegno sulla Giustizia
ROMA, 15 Ottobre 2002

Documento
formato .pdf compresso

Scarica il software necessario: Winzip
(1,2 MB)
Acrobat reader
(8,4 MB)

     Solitamente, il dibattito sulla giustizia risente di un eccessivo tecnicismo: i suoi mali sono visti con una lente di ingrandimento attenta ma settoriale. Sfuggono in questo modo le interdipendenze tra le istituzioni che complessivamente determinano il modello di giustizia vigente in un  determinato periodo storico. Nell’attuale fase in cui la competizione globale si sviluppa tra grandi blocchi economici (America, Europa e Giappone), nella totale libertà di circolazione dei capitali finanziari e delle merci, sta emergendo con sempre maggiore chiarezza un modello di società che:

 a)     mira alla totale flessibilità (leggi precarietà) del rapporto di lavoro e del salario;

b)     riduce sempre di più i servizi sociali e contestualmente finanzia in misura sempre maggiore il sistema delle imprese;

c)      priva il cittadino di un adeguato sistema di rappresentanza politica: i partiti ed i sindacati esprimono posizioni indifferenziate con un adesione generale ed incondizionata al valore del mercato. Il fatto che più sconcerta è che una capillare e persuasiva operazione culturale ha realizzato tale obiettivo senza incontrare significative opposizioni da parte dei lavoratori chiusi in una specie di letargia.

      In tale contesto il dibattito sulla giustizia viene limitato al tentativo di ridurre il ruolo di garanzia della magistratura, a noi oggi invece, al di la della convinzione che abbiamo, che l’indipendenza del giudice sia garanzia per il cittadino prima ancora che per il giudice stesso, preme affrontarlo dal punto di vista dei lavoratori della giustizia; categoria troppo spesso ignorata. Quando si parla di giustizia vediamo come protagonisti i magistrati e gli avvocati, mai i lavoratori, eppure esiste una moltitudine di donne e uomini invisibili, ignorati sia dall’Amministrazione che dall’opinione pubblica.

      Essi sono la colonna portante, il cuore pulsante di tutta l’attività giudiziaria, sono coloro senza i quali la macchina della giustizia non potrebbe funzionare. Ad essi sono attribuite competenze, responsabilità che derivano direttamente dalla legge: gli adempimenti preparatori delle cancellerie garantiscono il buon esito del lavoro del giudice e quelli successivi conferiscono esecutività ed efficacia a tutti gli atti del giudice stesso; la stessa presenza del cancelliere in udienza costituisce atto di garanzia rispetto al processo.

      Come si vede è funzione altamente specialistica, pertanto, l’omologazione di chi è impegnato nelle cancellerie e segreterie giudiziarie ad un modello di qualsivoglia lavoratore non può riguardare un settore così peculiare. Nasce quindi la necessità del riconoscimento della specificità del ruolo.

      Le riforme legislative ed ordinamentali che si sono succedute in modo impetuoso nell’ultimo decennio (Pensiamo al processo penale totalmente cambiato, quello civile profondamente mutato, giudice unico, giudice di pace, sezioni stralcio, legge Simeoni, normativa sull’espulsione degli extra-comunitari, legge Pinto, contributo unificato e di qui a poco legge Cirami) non solo non hanno mai visto come protagonista a nessun livello il personale amministrativo, ma neanche mai coinvolto in processi di formazione. Ciò nonostante i lavoratori sono riusciti a stare al passo con i tempi e sapete perché? Perché si sono autoformati spontaneamente.

      Tutto ciò è ancora più lodevole se solo si pensa che questo quadro normativo mutato ha comportato e sta comportando un notevole aggravio di lavoro. A fronte di tutto questo  cosa fa l’amministrazione? Per rispondere al principio di razionalizzazione della spesa e di riforme a costo zero,riduce le piante organiche del personale, strategia questa che appesantisce ulteriormente la già difficile situazione della giustizia. Se a tutto questo aggiungiamo il mancato riconoscimento del diritto alla carriera per effetto dell’inattuazione dei percorsi di riqualificazione, si può avere chiaro il clima di sfiducia, demotivazione, frustrazione che in taluni casi diventa rabbia che si respira tra i lavoratori.

      Lo sconcerto è aggravato dal fatto che l’Amministrazione non si preoccupa di trovare il rimedio a questa situazione di stallo. La morale qual è? E’ che a pagare è sempre e soltanto il lavoratore, il quale in questo totale disinteresse ed abbandono, paradossalmente trovandosi in un’amministrazione che invece dovrebbe farli rispettare i diritti, soffre anche della mancata applicazione degli stessi, basti pensare al mancato rispetto delle norme contrattuali a partire da quelle più elementari quali l’orario di lavoro, la sicurezza, le mansioni, la mobilità, la stabilizzazione. Infatti, negli ultimi anni, l’Amministrazione ha fatto ricorso sempre più sovente a forme di precariato quali il  part-time o peggio ancora allo sfruttamento degli ex LSU: per anni sono stati lavoratori senza certezze e senza diritti per approdare da circa due anni ad ottenere un contratto a tempo determinato. Questa situazione è ormai intollerabile, è ora che questi lavoratori vengano tranquillizzati e possano lavorare serenamente attraverso lo strumento del contratto a tempo indeterminato, infatti essi sono nostri colleghi a tutti gli effetti.

      Lo scenario che si va profilando come elemento di novità, nel quadro generale appena descritto, è la consapevolezza del tentativo da parte dell’attuale maggioranza, peraltro, in continuità con gli atti normativi già maturati dalle precedenti maggioranze,  di arrivare ad una sorta di privatizzazione della giustizia. Questa Organizzazione Sindacale ha il dovere di denunciare la gravità di tutto questo essa ritiene, al contrario, che la funzione pubblica cui è chiamata la giustizia sia funzione alta, inderogabile ed indefettibile.

      In ogni caso, al di là delle differenti posizioni su problemi specifici che nell’interesse comune dovranno trovare un terreno di composizione, l’urgenza di questi tempi impone a ciascuno per il proprio ruolo (magistrati, personale amministrativo, avvocati, politici e sindacati) di far fronte comune per impedire il dissolvimento della giustizia.

      Per finire viene alla memoria il saggio “il Diritto alle campane” del premio nobel alla letteratura Josè Saramago. E’ l’occasione per lo scrittore di una riflessione sui diritti universali dell’uomo attraverso la metafora di un contadino del 500, il quale stanco di dover subire continue riduzioni del proprio campicello ad opera di un signorotto del luogo, non riuscendo egli ad ottenere ascolto dalla giustizia, si decise infine a suonare le campane a morte. Alla domanda degli abitanti del paese sull’identità del morto, rispose che morto era il diritto.

      Oggi noi abbiamo lo stesso compito, quello di evitare, che un giorno, debbano suonare quelle stesse campane per quello stesso motivo. 

Roma, 15 ottobre 2002

 RdB P.I. – Esecutivo Giustizia