Lettera aperta dell’Ufficio educatori del Centro Penitenziario di Secondigliano

 

al Direttore Generale del Dap

 

  

 1  -  I progettisti del carcere di Secondigliano hanno consegnato all’Amministrazione Penitenziaria un istituto pensato per 732 posti letto. Gli spazi per i servizi, le attività, i colloqui con i familiari, gli ambienti per la socialità, i cortili dell’aria, le strutture sportive sono evidentemente stati dimensionati su questa quota di progettazione. I detenuti ospitati a Secondigliano sono oggi oltre 1300; a questi si aggiungono 150 semiliberi. Successivamente all’apertura dell’Istituto la capienza tollerabile è stata fissata a quota 1440. Non abbiamo mai trovato in alcun documento ufficiale del Dap indicazioni sui criteri con cui è stata definita la tollerabilità dell’affollamento, nè, soprattutto, per chi quella capienza è ritenuta sopportabile. Di sicuro non certo per chi ci deve vivere e pernottare.

      Detenuti comuni ed esponenti della criminalità organizzata, giovani alla prima esperienza detentiva e recidivi di lungo corso, due sezioni per i 41bis e due per i collaboratori di giustizia, un padiglione per l’alta sicurezza ed una struttura a custodia attenuata con 180 persone,  tossicodipendenti, immigrati, nomadi, siropositivi e ammalati di Aids, un centro clinico con oltre 100 ricoverati, gente con forti sofferenze psichiche ed una marea di senza tetto nè legge, poveri che provengono  dai bronks delle metropoli e marginali in fuga dalle periferie dell’occidente ricco.

     Ecco, questo è il carcere di Secondigliano, questo è il carcere italiano degli anni novanta, il carcere esploso sotto l’onda d’urto delle infinite  emergenze criminali dell’ultimo decennio. Nelle prigioni italiane gli esponenti del crimine organizzato non superano le 8.000 unità, i tangentisti   si contano sulle dita di una mano. Dietro il clamore di questa stagione politico-giudiziaria si è consumato il più grande processo di incarcerazione che la storia contemporanea del nostro paese abbia conosciuto:  i detenuti sono passati dalle 26.000 unità del 1990 alle 54.000 di adesso; ma in realtà, quelli che ruotano intorno al carcere sono più di settantamila, perchè nell’area penale esterna ci sono oltre 20.000 semiliberi e affidati. Il sistema penitenziario italiano ha risposto a questo devastante fenomeno sociale raddoppiando la capienza delle sue celle.

     Dei 1300 detenuti che ospita Secodigliano 487 sono impegnati in una qualche attività di tipo trattamentale (lavoro, scuole, corsi di formazione). Ciò significa che nel nostro istituto ci sono 800 persone per cui la detenzione è fatta di 20 ore di cella e 4 di passeggio. Cosa restituisce alla società un carcere che tiene persone per anni in queste condizioni è la domanda che ci poniamo quotidianamente. Per troppo tempo il sistema penitenziario italiano ha esibito esperienze trattamentali innovative, come i reparti a custodia attenuata, lasciando intendere che le politiche penitenziarie si stessero muovendo verso quelle direzioni. L’area verde di Secondigliano è una di queste realtà. Per quanto ci riguarda non ci interessa più lavorare su progetti vetrina che coinvolgono una cinquantina di detenuti. 50 detenuti che vivono una forma nuova di punizione in un carcere che ospita 1300 persone non ha nessun senso. O queste esperienze hanno l’ambizione di diventare forma carcere generale, o rischiano soltanto di legittimare e nascondere il carcere così com’è.

     La coltre di opacità che il nuovo carcere speciale (41bis) ha sparso intorno alle nostre galere in quest’ultimo decennio ha creato una forte regressione delle condizioni di vita negli istituti. Ad essere colpiti da questa ondata restauratrice non è stata soltanto la criminalità organizzata incarcerata. Il carcere ha subito un generale irrigidimento dei regimi disciplinari. Il sovraffollamento è certo un problema serio, ed un provvedimento indulgenziale che riduca, anche solo temporaneamente, i grandi numeri dei nostri tassi di incarcerazione è un’esigenza ormai ineludibile. Ma troppo spesso questo argomento è stato usato come alibi per nascondere un fondamentale disinteresse per le condizioni di vita dei detenuti. Le responsabilità della politica sono certo state enormi nel determinare questa situazione. Ma non sono da meno quelle dell’Amministrazione penitenziaria, noi compresi, rimasta spesso silente di fronte allo spettacolo di un  quotidiano penitenziario sempre più povero e indecoroso.

       Per capire ciò che è accaduto a Sassari bisogna partire da qui.

   

 2  -  Nel 1990 nelle carceri italiane c’erano 25.931 detenuti e 27.988 agenti di polizia penitenziaria. Oggi i carcerati sono quasi 54.000 e gli agenti poco meno di 44.000.  Gli educatori, nonostante il raddoppio della popolazione detenuta, sono rimasti pressapoco lo sparuto drappello di allora (meno di 600). L’ultimo concorso espletato nel 1994 si è concluso con l’assunzione di un centinaio di operatori che qualcuno al Dap  pensò bene di dirottare alla giustizia minorile. A partire dall’evidenza dei numeri il carcere italiano mostra una grande evidenza delle sue funzioni reali: esso prevalentemente custodisce e controlla e, residualmente, si predispone ad ascoltare e sostenere le persone recluse.

     Ad una politica che pretende fondamentalmente un carcere sicuro e silente  le politiche penitenziarie di questi anni hanno risposto con provvedimenti tesi esclusivamente ad adeguare il livello della sicurezza e della custodia alla crescita esponenziale delle carcerazioni, confidando sul  protagonismo della società civile nel rispondere alle esigenze di umanizzazione della pena.

     A Secondigliano sono in servizio 900 poliziotti penitenziari e 9 educatori (su un organico previsto di venti unità); il rapporto operatore/utente per questi ultimi è di 1 a 170 (essendo due unità impiegate esclusivamente nel ‘raparto verde’). Gli psicologi sono appena 5, assunti con convenzioni che pagano 305 ore mensili di consulenza (circa mezzo minuto al giorno per utente). I detenuti con posizione giuridica di definitivo, quelli per cui la legge impone di attivare la cosiddetta osservazione scientifica della personalità, sono quasi 900. L’ufficio educatori di Secondigliano nel 1999 ha ‘prodotto’ 6.073 relazioni di osservazione, 350 consigli di disciplina, 11.120 colloqui individuali. Oltre l’80% del tempo di lavoro di un educatore di Secondigliano è stato speso nell’espletamento di queste tre sole mansioni.

       Per le richieste di intervento e di aiuto, tragicamente rappresentate dall’esplosione dei suicidi e degli autolesionismi, le domande di formazione ed orientamento, le aspettative di fuoriuscita anticipata dal carcere, le esigenze di informazione e ‘tutela legale’, i bisogni di assistenza sociale e sostegno alla dismissione, le necessità della programmazione dell’offerta di servizi e la conseguente valutazione della loro efficacia, le proposte culturali, di ricreazione e sport, il coordinamento degli interventi dei volontari e delle associazioni culturali,  la cura degli interventi terapeutici-trattamentali, il raccordo con il servizio sociale penitenziario e con gli altri operatori del carcere, la mediazione culturale per gli stranieri, il sostegno per gli ammalati e per chi è in difficoltà a vivere, per tutto questo Secondigliano può garantire al momento meno di un’ora al giorno del tempo di lavoro di un educatore, a cui si aggiunge il mezzo minuto/utente degli psicologi.

     Gli educatori di Secondigliano comunicano che non sono in grado di garantire null’altro oltre il formale adempimento delle richieste di relazioni che provengono dalla Magistratura di Sorveglianza, l’espletamento dei colloqui chiesti dai detenuti, lo svolgimento dei consigli di disciplina e  gli interventi di sostegno verso coloro che si autolesionano o tentano il suicidio. Per il resto, non possiamo assicurare nessuna fattiva collaborazione. In questi giorni ci è stato comunicato che sono stati autorizzati e finanziati corsi ed attività per un totale di  £. 901.347.525: il nostro ufficio non è in grado di garantire, stando le attuali risorse su cui possiamo contare, l’individuazione dell’utenza, il coordinamento, l’organizzazione e la valutazione dei risultati di questi interventi, nè tantomeno progettare quei percorsi di fuoriuscita dal carcere che questo impiego di risorse pubbliche dovrebbe comportare.

       Il nostro non è il tentativo di proporre l’ennesima rivendicazione corporativa nella guerra tra categorie che paralizza oggi il sistema penitenziario italiano. Entrare come staffettisti o portatori d’acqua nello scontro di interessi tra ceto dei direttori e corpo di polizia penitenziaria sarebbe, a nostro parere, una scelta autolesionistica e suicida. Non è  nostra intenzione, inoltre, speculare sulla sofferenza ed il disagio dei detenuti per riuscire a portare a casa anche noi il nostro piccolo trofeo di caccia. Chiedere che gli organici degli operatori sociali del carcere siano adeguati alla moltiplicazione dell’utenza avvenuta in questi anni non significa che ciò debba avvenire a decremento o contro  altre figure professionali.

Ciò che però non riusciamo a comprendere è perchè a tutte le emergenze che si sono susseguite in questi anni si è prontamente risposto con l’assunzione di personale di polizia penitenziaria con provvedimenti d’urgenza, mentre, ancora oggi, la paralisi operativa degli operatori del trattamento debba attendere i tempi biblici dei pubblici concorsi. 

      Il dramma di Sassari è cominciato con uno sciopero indetto dal sindacato dei direttori penitenziari, ed è proseguito con i sit-in di protesta dei sindacati della polizia penitenziaria fuori le mura delle carceri. Le azioni di protesta civili, e le manifestazioni pacifiche che i detenuti italiani hanno messo in campo in questi ultimi due mesi dovrebbero aver ricordato qualcosa di importante a tutti noi: il carcere esiste soprattutto perchè ci sono i detenuti, noi stessi esistiamo perchè esiste il carcere.

       

Napoli, 25 luglio 2000                                 

 

                                       Educatore    Angelo Sorrentino, iscritto Cgil

                                       Educatore    Salvatore Verde, eletto RSU Cgil

                                       Educatore   Ercole Formisano, rappresentante Rdb

                                       Educatore    Nicola Caruso, rappresentante Uil

                                       Educatrice   Maria Autiero, iscritta Cgil

                                       Educatore    Luigi Tigano

                                       Educatrice   Tina Amitrano, iscritta Cgil

                                       Educatore    Bruno Boccuni, rappresentante Cisl

                                       Educatrice   Maria Bevilacqua, iscritta Unsa-Sag

                                       Educatore    Michele Sellitti, iscritto Uil