SENTENZA N. 15
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente
- Prof. Gabriele PESCATORE Giudice
- Avv. Ugo SPAGNOLI "
- Prof. Antonio BALDASSARRE "
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO "
- Avv. Mauro FERRI "
- Prof. Luigi MENGONI "
- Prof. Enzo CHELI "
- Dott. Renato GRANATA "
- Prof. Giuliano VASSALLI "
- Prof. Francesco GUIZZI "
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3, sessantunesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica) e dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), promossi con ordinanze emesse il 24 febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara, l'8 febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale della Toscana (n. 2 ordinanze), il 12 maggio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, e il 20 aprile e il 2 febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, rispettivamente iscritte ai nn. 304, 395, 396, 425, 621 e 626 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23, 27, 29 e 43, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visti gli atti di costituzione di Maria Rosaria Rosa ed altri e di Antimo Ponticiello ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1994 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
udito l'avvocato Renato Recca per Maria Rosaria Rosa ed altri e per Antimo Ponticiello ed altri e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di altrettanti giudizi promossi da personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie o da personale amministrativo in servizio presso organi della giustizia amministrativa - giudizi diretti ad accertare il diritto all'adeguamento triennale dell'indennità giudiziaria e ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti di diniego delle amministrazioni di appartenenza -, i Tribunali amministrativi regionali dell'Abruzzo, sezione staccata di Pescara (con ordinanza emessa il 24 febbraio 1994; R.O. n. 304 del 1994), della Toscana (con due ordinanze, entrambe dell'8 febbraio 1994; R.O. n. 395 e 396 del 1994), del Veneto (con ordinanza emessa il 12 maggio 1994; R.O. n. 425 del 1994) e del Lazio (con due ordinanze, del 20 aprile e del 2 febbraio 1994; R.O. n. 621 e 626 del 1994), hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, sessantunesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), di interpretazione autentica dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221. Il Tribunale amministrativo del Lazio, pur considerando lo stesso contenuto normativo, ha denunciato quest'ultima disposizione come interpretata dalla legge n. 537 del 1993.
L'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993, autoqualificandosi come norma interpretativa, prevede che l'indennità concessa dalla legge 19 febbraio 1981, n. 27 ai magistrati ed attribuita dall'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 al personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie (successivamente estesa al personale amministrativo delle giurisdizioni speciali dalla legge 15 febbraio 1989, n. 51), sia corrisposta a questo personale nella misura vigente al 1° gennaio 1988, senza cioè l'adeguamento automatico triennale stabilito per i magistrati.
Le ordinanze di rimessione sottolineano che l'interpretazione autentica dettata dalla norma denunciata si discosta dalla interpretazione giurisprudenziale, avendo i giudici amministrativi ritenuto in più occasioni che anche il personale in questione avesse diritto alle variazioni percentuali previste dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981 per l'analoga indennità attribuita ai magistrati.
I giudici rimettenti riconoscono che la Costituzione non vieta leggi retroattive, salvo in materia penale, ma osservano che queste leggi devono rispondere a ragionevolezza e non devono violare altri principi costituzionali. Nel caso della norma che essi devono applicare vi sarebbe contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione. Il legislatore, stabilendo che l'indennità spetta al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie in misura fissa, avrebbe vanificato lo scopo di questo compenso, che è di retribuire nuovi oneri e maggiori responsabilità derivanti dalla recente legislazione in materia di giustizia. L'esclusione dell'adeguamento triennale condurrebbe irragionevolmente all'erosione del valore reale dell'indennità, a causa della svalutazione monetaria, e contrasterebbe quindi con i principi di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione; inoltre sarebbe fonte di ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai magistrati, per i quali il diritto alle variazioni percentuali continua ad essere assicurato, mentre la stretta connessione tra l'attività dei magistrati e quella del personale di cancelleria, il comune ed analogo contributo alla realizzazione del servizio giustizia e la necessità di un pari impegno postulerebbero meccanismi retributivi fondati su criteri analoghi. Secondo un'ordinanza di rimessione l'art. 3 della Costituzione sarebbe violato anche per la disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra coloro che hanno già percepito l'indennità giudiziaria rivalutata, avendo ottenuto una sentenza favorevole passata in giudicato prima dell'entrata in vigore della legge n. 537 del 1993, e coloro che non possono conseguire l'adeguamento a seguito della disposizione censurata.
I Tribunali amministrativi regionali dell'Abruzzo, della Toscana e del Veneto ritengono che l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993 sia in contrasto anche con altri parametri costituzionali: con l' art. 24, perché la disposizione interpretativa, sopraggiungendo quando più sentenze hanno accolto una diversa interpretazione, ostacolerebbe l'esito delle domande giudiziali degli interessati, i quali rimarrebbero privi dell'effettiva tutela dei loro diritti; con l'art. 97, per la violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione; con gli artt. 108 e 113, per l'interferenza sull'indipendenza della giurisdizione amministrativa e per la lesione del principio di trasparenza dei rapporti tra Stato e cittadini.
La norma censurata, avendo lo scopo di elidere un indirizzo giurisprudenziale consolidato, violerebbe inoltre l'autonomia e la pienezza della giurisdizione amministrativa. Questo in contrasto, secondo l'ordinanza di rimessione del Tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo, con l'art. 101 della Costituzione, ovvero, secondo i Tribunali amministrativi della Toscana e del Veneto, con gli artt. 102, 103 e 104 della Costituzione.
Secondo il Tribunale amministrativo dell'Abruzzo sarebbe violato anche l'art. 73 della Costituzione, per l'incidenza della disposizione impugnata, atteso il suo carattere retroattivo, su diritti quesiti dei ricorrenti.
Le ordinanze di rimessione motivano la rilevanza della questione affermando di dover applicare la nuova normativa, della cui costituzionalità dubitano, per valutare la pretesa dei ricorrenti, volta al riconoscimento dell'indicizzazione triennale dell'indennità giudiziaria.
2.- In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza o per la manifesta infondatezza delle questioni.
L'Avvocatura ricorda che l'unico limite alle norme retroattive è costituito dall'esigenza di rispettare il principio di ragionevolezza e gli altri valori costituzionali.
Nel caso in esame il legislatore avrebbe agito nell'ambito naturale della sua funzione di produzione normativa, senza violare principi costituzionali. Infatti l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993, oltre a non ledere giudicati già formatisi, non ha sottratto ai ricorrenti alcuno strumento di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione, né ha menomato l'autonomia riconosciuta al potere giurisdizionale nell'applicazione del diritto oggettivo ai fini della definizione delle singole controversie.
Non vi sarebbe alcuna ingiustificata disparità di trattamento per il fatto che l'indicizzazione dell'indennità giudiziaria, esclusa per il personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, continua invece ad essere prevista per i magistrati. Si è infatti in presenza di situazioni obiettivamente diverse, dei magistrati e del personale di cancelleria, che il legislatore può disciplinare in maniera differenziata, perché il principio di eguaglianza non postula un sistematico ed aprioristico livellamento di peculiari status diversi tra loro.
Non vi sarebbe neppure un'ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che, avendo ottenuto una sentenza favorevole prima dell'entrata in vigore della legge n. 537 del 1993, hanno percepito l'indennità rivalutata e coloro che non possono più conseguirla. Si tratterrebbe di una mera disparità di fatto, che ricorre ogniqualvolta vi sia ius superveniens (in senso favorevole o sfavorevole alla parte) ovvero un mutamento di indirizzo giurisprudenziale: il giudicato serve a concludere una lite ed il suo esito resta circoscritto alle parti che vi hanno partecipato.
L'Avvocatura esclude inoltre qualsiasi violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione, che va riferita al complessivo trattamento retributivo, osservando che l'indennità giudiziaria si aggiunge al normale trattamento. Ritiene infine non pertinente il riferimento agli artt. 73 e 97 della Costituzione.
3.- Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti Maria Rosaria Rosa ed altri, Antimo Ponticiello ed altri, tutti ricorrenti nei procedimenti che hanno dato luogo alle ordinanze di rimessione del Tribunale amministrativo del Lazio.
Le memorie, che concludono per l'accoglimento delle questioni, sottolineano che l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993 ha imposto un'interpretazione contraria alla giurisprudenza formatasi in senso favorevole al riconoscimento del diritto del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie all'adeguamento triennale dell'indennità.
Le parti private ritengono che non vi sarebbe alcuna ragionevole giustificazione per ammettere l'indicizzazione dell'indennità solo per il personale togato, negandola per quello di cancelleria e segreteria, tenuto conto che essa costituisce componente normale del trattamento economico del personale beneficiario.
Nelle memorie si ribadiscono inoltre le argomentazioni enunciate a sostegno dei dubbi di legittimità costituzionali nelle ordinanze di rimessione.
4.- In prossimità dell'udienza, l'Avvocatura ha depositato memorie nei giudizi promossi dal Tribunale amministrativo della Toscana (R.O. n. 395 del 1994) e dal Tribunale amministrativo del Veneto (R.O. n. 425 del 1994), insistendo nelle conclusioni di manifesta infondatezza delle questioni.
L'Avvocatura osserva che l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993, nel recare l'interpretazione autentica dell'art. 1 della legge n. 221 del 1988, si è limitato a rendere esplicita la ratio normativa di tale disposizione, nel senso di precisare che le misure dell'indennità giudiziaria, dovuta al personale dirigente e qualifiche equiparate nonché a quello appartenente alle qualifiche funzionali dei ruoli delle cancellerie e segreterie giudiziarie, sono quelle della speciale indennità non pensionabile vigenti al 1° gennaio 1988.
Ciò troverebbe conferma negli atti preparatori della legge n. 221 del 1988, dai quali si evince che una specifica disposizione che prevedeva la rivalutazione automatica dell'emolumento, proposta dall'Amministrazione giudiziaria, è stata eliminata su esplicita richiesta del Tesoro, tenuto anche conto che gli oneri relativi al provvedimento stesso sono stati considerati costanti nel tempo.
Secondo l'Avvocatura con l'interpretazione autentica il legislatore ha voluto porre termine al contenzioso amministrativo che si stava formando, in materia di rivalutazione dell'indennità giudiziaria, in contrasto con lo spirito e la lettera della norma, senza per questo ledere gli articoli 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione. Difatti non sarebbero violate la funzione, l'autonomia e l'indipendenza dei giudici amministrativi, né sarebbe limitata la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dei dipendenti. Del resto, alla data di entrata in vigore della legge n. 537 del 1993 non si era formata in materia di adeguamento automatico di indennità giudiziaria una giurisprudenza consolidata, tale da consentire l'estensione del giudicato anche nei confronti dei non ricorrenti.
Secondo l'Avvocatura le leggi n. 221 del 1988 e n. 51 del 1989 non hanno inteso estendere agli interessati la speciale indennità non pensionabile del personale di magistratura, bensì hanno introdotto un diverso trattamento economico accessorio. Difatti sono state espressamente stabilite le misure percentuali dovute ai dirigenti; risultano indicati i criteri di erogazione dell'indennità stessa; è stata rimessa alla contrattazione decentrata, da recepire con decreto interministeriale, la determinazione degli importi mensili per gli appartenenti alle qualifiche funzionali. In tale sede, poi, mentre si è fatto espresso rinvio per la determinazione degli importi alle misure della speciale indennità non pensionabile vigenti al 1° gennaio 1988, non è stato previsto l'adeguamento automatico dell'indennità. Di conseguenza non sarebbe possibile applicare alla stessa il particolare regime previsto per l'indennità dei magistrati; regime, d'altronde, in linea con il sistema di rivalutazione stipendiale sancito per tale categoria di personale.
L'Avvocatura, inoltre, contesta che i principi costituzionali impongano che le voci retributive debbano adeguarsi automaticamente al costo della vita. In particolare tutti gli emolumenti accessori fruiti da numerose categorie di personale dello stesso comparto dei ministeri sono corrisposte in misura fissa ovvero in importi che nel tempo non hanno subito adeguamenti.
5.- In prossimità dell'udienza anche le parti private hanno depositato memorie, ribadendo che sussisterebbe una disparità di trattamento operata nei confronti del personale amministrativo, tenuto conto che l'indennità giudiziaria è stata estesa ad esso in ragione della stretta connessione del servizio con l'opera svolta dai magistrati. Né vi sarebbe quella obiettiva diversità di situazioni, che consentirebbe una disciplina legittimamente differenziata.
Considerato in diritto
1.- Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dai Tribunali amministrativi regionali dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara, della Toscana, del Veneto e del Lazio, concernono l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ovvero l'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), come interpretato dalla legge n. 537 del 1993.
La prima disposizione, inserita nel contesto degli interventi correttivi di finanza pubblica, qualificandosi come interpretativa, prevede che l'art. 1 della legge n. 221 del 1988, attribuendo al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie l'indennità stabilita dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 "nella misura vigente al 1° gennaio 1988", è da considerare con riferimento alle misure in godimento a quella data. Senza che si possa, quindi, tenere conto dell'incremento periodico dell'indennità, che per i magistrati è previsto ogni triennio nella stessa misura percentuale stabilita per l'adeguamento del loro stipendio.
La pretesa avanzata nei giudizi principali dai ricorrenti, tutti appartenenti al personale amministrativo giudiziario, si basa su una diversa interpretazione dell'art. 1 della legge n. 221 del 1988, nel senso che il rinvio all'art. 3 della legge n. 27 del 1981 comprenda anche le modalità di automatico adeguamento periodico dell'indennità, così come è previsto per i magistrati.
I giudici rimettenti, considerato che la norma "interpretativa" esclude la possibilità di corrispondere l'indennità maggiorata dell'adeguamento triennale, ne hanno denunciato l'illegittimità costituzionale con riferimento a molteplici parametri (artt. 3, 24, 36, 73, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione). La norma difatti sarebbe falsamente interpretativa, avrebbe in realtà contenuto retroattivo, giacché i problemi interpretativi che avrebbe inteso dirimere erano stati superati dalla giurisprudenza. Essa sarebbe irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza, in quanto introdurrebbe ingiustificate disparità di trattamento tra pubblici dipendenti, ammettendo la indicizzazione solo per i magistrati e non per il personale di cancelleria e segreteria. Sarebbe anche leso il principio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione, giacché l'indennità è da tempo componente del trattamento economico del personale che ne beneficia.
Il contrasto è prospettato anche con i principi costituzionali che garantiscono il diritto di difesa e l'autonomia della funzione giurisdizionale, in quanto la norma inciderebbe su diritti già maturati e vanificherebbe decisioni giurisdizionali. Sarebbero inoltre lesi l'imparzialità ed il buon andamento dell'amministrazione, giacché la legge interviene retroattivamente su diritti di natura economica connessi al rapporto di pubblico impiego. Il contrasto con il principio di eguaglianza è prospettato anche sotto il profilo della disparità di trattamento retributivo tra chi ha ottenuto una sentenza favorevole prima della legge interpretativa e chi ha un giudizio in corso.
2.- Le questioni hanno per oggetto la stessa norma, considerata da alcune ordinanze con riferimento alla disposizione interpretativa, da altre ordinanze con riferimento alla disposizione interpretata, e prospettano i medesimi o analoghi profili di legittimità costituzionale. La evidente connessione consente di riunire i giudizi, perché siano decisi con unica sentenza.
3.- Tutti i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalle diverse ordinanze hanno quale comune premessa la considerazione che l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993, al di là della formale autoqualificazione, non esprima l'interpretazione autentica della precedente disposizione (art. 1 della legge n. 221 del 1988), alla quale si riferisce, ma modifichi retroattivamente la disciplina dettata da quest'ultima, mediante un'innovazione estranea alla finalità di renderne inequivoco il contenuto normativo.
Il contrasto con i diversi parametri costituzionali invocati deriverebbe dall'uso irragionevole che il legislatore avrebbe fatto del potere di emanare leggi di interpretazione autentica, venendo ad incidere nell'ambito proprio della giurisdizione e determinando nell'ambito giudiziario, con l'interpretazione legislativamente imposta, una disparità di trattamento tra magistrati e personale amministrativo e la lesione del principio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione per quest'ultimo.
4.- I problemi che si presentano in relazione alle leggi interpretative sono stati molte volte esaminati e risolti, sulla base di principi che fissano i criteri di soluzione delle questioni ora sottoposte all'esame della Corte.
Ammesso il potere del legislatore di emanare leggi interpretative, che hanno come connaturale elemento la retroattività (sentenza n. 123 del 1987), non è sufficiente che la legge si autoqualifichi e sia formulata come interpretativa, perché debba essere considerata tale. Si deve difatti verificare, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, che la qualificazione e la formulazione rispondano effettivamente ai caratteri propri di una legge interpretativa (cfr. sentenza n. 233 del 1988). Caratteri che indubbiamente sussistono quando, rimanendo immutato il tenore testuale della disposizione interpretata, se ne chiarisca e precisi il significato o si privilegi, rendendola vincolante, una tra le tante interpretazioni possibili (da ultimo sentenze n. 397 del 1994 e n. 424 del 1993).
In altri termini è necessario e sufficiente che la scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato, stabilendo un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto alla legge anteriore (sentenza n. 39 del 1993; ordinanza n. 480 del 1992). Così configurato, l'intervento legislativo non presuppone necessariamente una situazione di incertezza o di conflitto di interpretazioni, ma non si sottrae all'esigenza di rispettare il principio generale di ragionevolezza e gli altri precetti costituzionali (tra le molte, sentenze n. 6 del 1994 e n. 283 del 1993).
La legge interpretativa inoltre, pur se ha il fine di imporre all'interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata, non tocca la potestà di giudicare, ma muove sul diverso piano delle fonti normative e precisa la regola ed il modello di decisione cui l'esercizio della potestà di giudicare deve attenersi (sentenze n. 39 e n. 402 del 1993, n. 6 del 1988). Non lede quindi la funzione giurisdizionale, a meno che non violi il giudicato o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui concreti giudizi in corso per determinarne gli esiti (da ultimo sentenza n. 397 del 1994).
5.- L'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993, destinato a chiarire il significato dell'art. 1 della legge n. 221 del 1988 nell'ambito delle possibili interpretazioni consentite dal tenore letterale di quest'ultima disposizione, risponde ai requisiti propri delle leggi interpretative.
Con la disposizione interpretata è stata attribuita al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie l'indennità stabilita per i magistrati dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981, "nella misura vigente al 1° gennaio 1988". Quest'ultimo inciso risulta aggiunto nello schema di disegno di legge di iniziativa governativa, a richiesta del Tesoro, unitamente alla soppressione della menzione prevista invece nello schema preliminare del secondo comma dell'art. 3, che stabilisce per i magistrati l'adeguamento automatico dell'indennità ogni triennio contestualmente all'adeguamento dei loro stipendi, e ciò proprio al fine di escludere il meccanismo di adeguamento automatico dell'istituenda indennità per il personale amministrativo.
Nel corso dell'esame parlamentare nella Commissione giustizia del Senato il relatore ha segnalato la revisione triennale quale elemento che caratterizza l'indennità, facendo tuttavia riferimento, oltre che allo strumento legislativo, anche alla contrattazione.
Quale che sia il valore da attribuire ai lavori preparatori - peraltro in questo caso non chiari né inequivoci - essi non sono risolutivi per la interpretazione della legge, né vincolano successive leggi interpretative, le quali possono liberamente muovere nell'area oggettivamente compresa tra le possibili varianti di senso compatibili con il testo legislativo.
Dal tenore letterale dell'art. 1 della legge n. 221 del 1988 possono derivare almeno due interpretazioni. Una, fatta propria dalle ordinanze di rimessione e dalle decisioni dalle stesse richiamate, considera il rinvio all'art. 3 della legge n. 27 del 1981 come comprensivo non solo della attribuzione e della determinazione dell'indennità nella misura vigente al 1° gennaio 1988 ma anche dei meccanismi di adeguamento automatico così come previsti ed operanti per i magistrati.
L'altra lettura considera il rinvio come espressamente limitato alla misura dell'indennità alla data considerata, senza che possa estendersi ai meccanismi di adeguamento coerenti con la diversa configurazione del sistema retributivo dei magistrati.
Quest'ultima lettura rientra tra i possibili significati della disposizione interpretata, del resto già individuati, sia pure incidentalmente, da questa Corte che, ponendo in evidenza le caratteristiche proprie dell'indennità connesse allo status dei magistrati, ha segnalato che il legislatore, anche quando ha ritenuto di estendere l'indennità al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie ed a quello amministrativo delle magistrature speciali, l'ha attribuita in misura fissa, escludendo l'applicabilità del meccanismo di adeguamento automatico connesso alla rivalutazione degli stipendi prevista per i soli magistrati (sentenza n. 238 del 1990).
Si deve conclusivamente ritenere che l'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993 è correttamente qualificato di interpretazione autentica e, come tale, è caratterizzato dalla retroattività.
6.- Ciò posto, il contenuto della disposizione denunciata non appare irragionevole, né in contrasto con i parametri di valutazione indicati dalle ordinanze di rimessione.
L'indennità concessa ai magistrati dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981 si configura diversamente da quella prevista per il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie dall'art. 1 della legge n. 221 del 1988.
L'indennità attribuita ai magistrati, fissa nel suo ammontare che non è collegato al livello retributivo ed alla progressione nella carriera, si inserisce in un contesto retributivo caratterizzato, in ragione della speciale garanzia di indipendenza da assicurare ai magistrati, dall'automatico aggiornamento periodico del trattamento retributivo nella misura percentuale pari alla media degli incrementi realizzati dai pubblici dipendenti nel triennio precedente (artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97). Questa caratteristica coerentemente si comunica all'indennità.
Diversamente per il personale amministrativo giudiziario, al quale si applicano le regole comuni del pubblico impiego. L'indennità, che assorbe precedenti compensi incentivanti, è stata rapportata, nel suo ammontare, ai diversi livelli retributivi ed alle distinte posizioni di carriera ed è stata rimessa, per il personale appartenente alle qualifiche funzionali, all'intesa con le organizzazioni sindacali.
Non è dunque irragionevole la mancata estensione al personale amministrativo dello speciale meccanismo di adeguamento automatico previsto per i magistrati, che trae giustificazione dalla particolare condizione dei destinatari e dall'assenza per essi di altri e specifici strumenti, legislativi o contrattuali, di variazione del trattamento retributivo.
La mancanza di omogeneità tra le due categorie di dipendenti ed il diverso meccanismo di determinazione del trattamento retributivo sono sufficienti per giustificare la diversità di regime giuridico delle indennità in questione.
7.- Il carattere di interpretazione autentica da riconoscere all'art. 3, sessantunesimo comma, della legge n. 537 del 1993 consente di escludere che questa disposizione interferisca sulla funzione giurisdizionale (artt. 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione) o limiti il diritto di difesa degli interessati (art. 24 della Costituzione). Il legislatore difatti si è mosso sul piano delle fonti, esercitando il potere di attribuire alla disposizione legislativa interpretata un significato obbligatorio per tutti, senza con ciò interferire nella diversa funzione del potere giudiziario, che, secondo la costante giurisprudenza della Corte (sin dalla sentenza n. 118 del 1957), consiste nell'adozione di decisioni vincolate all'ordinamento normativo.
La legge interpretativa non travolge inoltre i giudicati che si sono formati. La necessità di rispettarli nei singoli casi in cui vi sia cosa giudicata giustifica, anzi, la differente condizione di chi abbia avuto il riconoscimento giudiziale definitivo dell'adeguamento automatico dell'indennità rispetto a chi non lo abbia ottenuto. La legge interpretativa non appare inoltre mossa dall'intento di interferire nei giudizi in corso, ma è raccordata all'esigenza di chiarire la portata della norma interpretata, anche in coerenza con le valutazioni di spesa e la copertura finanziaria prevista con l'istituzione dell'indennità.
8.- Non sussiste neppure il contrasto, denunciato dalle ordinanze di rimessione, dell'omesso adeguamento automatico dell'indennità con l'art. 36 della Costituzione.
I requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione devono essere valutati, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non già in relazione ai singoli elementi che compongono il trattamento economico, ma considerando la retribuzione nel suo complesso (da ultimo sentenza n. 164 del 1994).
Non si può pertanto fare isolato riferimento ad una indennità, che concorre ad integrare il trattamento stipendiale. Né la disposizione costituzionale tende a garantire la indicizzazione degli elementi retributivi.
Infine non si vede come possa essere configurato un contrasto, peraltro dedotto senza adeguata argomentazione, con l'art. 97 della Costituzione.
Ogni altro profilo rimane assorbito.
Per questi motivi
La Corte Costituzionale
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, sessantunesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica) e dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 73, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, dai Tribunali amministrativi regionali dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara, della Toscana, del Veneto e del Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il