SENTENZA N. 419

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Cesare MIRABELLI Presidente

- Francesco GUIZZI  Giudice

- Fernando SANTOSUOSSO "

- Massimo VARI "

- Cesare RUPERTO "

- Riccardo CHIEPPA  "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA  "

- Carlo  MEZZANOTTE  "

- Fernanda CONTRI  "

- Guido  NEPPI MODONA  "

- Piero Alberto  CAPOTOSTI  "

- Annibale MARINI  "

- Franco  BILE  "

- Giovanni Maria  FLICK  "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, ultimo periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito nella legge 28 novembre 1996, n. 608, promossi con ordinanze emesse il 16 ottobre 1996 dal Pretore di Genova, il 22 ottobre 1996 dal Pretore di Fermo, il 16 dicembre 1996 dal Pretore di Torino, il 3 febbraio 1997 dal Pretore di Milano, il 5 febbraio 1997 dal Pretore di Salerno, il 17 dicembre 1996 dal Pretore di Padova, il 5 febbraio 1997 dal Pretore di Lecco, il 5 marzo 1997 (3 ordinanze) dal Pretore di Ferrara, l'8 aprile 1997 dal Pretore di Fermo, il 24 febbraio 1997 dal Pretore di Parma, il 1° marzo 1997 dal Pretore di Saluzzo, il 18 marzo 1997 dal Pretore di Livorno, l'8 marzo 1997 dal Pretore di Gorizia, il 27 maggio 1997 dal Pretore di Latina, il 6 marzo 1997 dal Tribunale di Venezia, il 13 gennaio 1997 (2 ordinanze) dal Pretore di Camerino, il 18 marzo 1997 (3 ordinanze) dal Pretore di Livorno, il 7, il 14 ed il 20 ottobre 1997 dal Pretore di Bologna, il 18 novembre 1997 dal Pretore di Nicosia, il 19 febbraio 1998 dal Pretore di Macerata, il 26 novembre 1997 dal Pretore di Latina, il 30 novembre 1998 (5 ordinanze) dal Pretore di Trento e il 23 aprile 1997 dal Pretore di Pordenone, rispettivamente iscritte ai nn. 1299 e 1379 del registro ordinanze 1996, 53, 136, 172, 188, 227, 284, 285, 306, 337, 339, 418, 510, 548, 563, 664, 671, 672, 725, 726, 727, 909 e 910 del registro ordinanze 1997, 39, 210, 334 e 377 del registro ordinanze 1998, 86, 87, 88, 89, 90 e 445 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1996, nn. 4, 9, 14, 15, 16, 19, 23, 24, 25, 28, 36, 37, 38, 41, 42, 43 e 44, prima serie speciale, dell'anno 1997, nn. 3, 6, 14, 20 e 22, prima serie speciale, dell'anno 1998, nn. 9 e 37, prima serie speciale, dell’anno 1999;

Visti gli atti di costituzione di Luciani Sandro ed altri, Ferrari Antonella, Gatti Federica, Mazzini Marina ed altra, Nalon Tommaso, La Falce Mina, Ciccalé Romina, Rossi Monica ed altri, Ticciati Claudia ed altre, Papi Alessandra e dell'ente Poste Italiane, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 2000 e nella camera di consiglio del 5 aprile 2000 il Giudice relatore Annibale Marini;

uditi gli avvocati Sergio Vacirca per Gatti Federica, Alberto Medina per Mazzini Marina ed altra, Carlo Cester per Nalon Tommaso, Sergio Galleano per La Falce Mina, Alberto Lucchetti per Ciccalè Romina, Giorgio Bellotti per Rossi Monica ed altri e per Ticciati Claudia ed altre, Luigi Fiorillo, Roberto Pessi e Giampaolo Rossi per la s.p.a. Poste Italiane e l'Avvocato dello Stato Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Pretore di Genova, nel corso di un giudizio promosso nei confronti dell’ente Poste Italiane da un lavoratore assunto con contratto a tempo determinato, diretto alla declaratoria di illegittimità del contratto stesso, per difetto di forma scritta, con la conseguente conversione del relativo rapporto in rapporto a tempo indeterminato, con ordinanza emessa il 16 ottobre 1996 ha sollevato, in riferimento agli artt. 77, 101, 102, 104 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale).

Il giudice a quo, premessa la rilevanza della questione, osserva che la norma denunciata - secondo cui «le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall’ente Poste Italiane, a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto» - violerebbe innanzitutto l’art. 77 della Costituzione, sia in quanto la materia disciplinata non sarebbe caratterizzata da alcuna straordinaria necessità ed urgenza, sia perché il decreto-legge n. 510 del 1996, per la parte che qui interessa, sarebbe sostanzialmente riproduttivo del decreto-legge n. 404 del 1996, decaduto per mancata conversione nel termine fissato dalla norma costituzionale.

Ad avviso del rimettente, la norma impugnata violerebbe poi gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, trattandosi di norma retroattiva intenzionalmente diretta ad incidere sui numerosi giudizi in corso - promossi da dipendenti dell’ente Poste Italiane, assunti con contratto di lavoro a tempo determinato, per dedurre l’illegittimità dell’apposizione del termine con conseguente conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato - ed emanata dopo la pronuncia delle prime sentenze che, in primo grado, hanno accolto le domande attrici.

La norma sarebbe, infine, lesiva del principio di eguaglianza, in quanto per effetto di essa i dipendenti dell’ente Poste Italiane (avente natura di soggetto di diritto privato) sarebbero assoggettati, in tema di rapporto di lavoro a tempo determinato, senza alcuna ragionevole giustificazione, ad una disciplina diversa da quella degli altri lavoratori privati, specie considerando che detta norma attribuisce sic et simpliciter validità ed efficacia alla clausola appositiva di termine, pur se affetta, secondo la legislazione previgente, da cause di nullità, quale ad esempio l’illiceità del motivo.

1.1. - L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, fuori termine, atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l’inammissibilità ed infondatezza della questione di legittimità.

 

2. - Nel corso di giudizi promossi nei confronti dell’ente Poste Italiane da alcuni lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, diretti alla declaratoria di conversione in rapporti a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), il Pretore di Fermo, con due ordinanze di identico contenuto del 22 ottobre 1996 e dell’8 aprile 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della stessa norma, nel frattempo convertita in legge dall’art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996, n. 608.

Ad avviso del rimettente, la norma denunciata, per la ingiustificata disparità di trattamento che determinerebbe tra i dipendenti dell’ente Poste Italiane e tutti gli altri lavoratori dipendenti, sarebbe infatti lesiva sia della parità tra i lavoratori sia della libertà di iniziativa economica.

2.1. - E’ intervenuto nel primo dei due giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione.

Assume in buona sostanza la parte pubblica che, pur dopo la privatizzazione, l’ente Poste Italiane ha continuato a svolgere - in ossequio agli obblighi imposti dal decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero), convertito in legge con modificazioni dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71 - determinate funzioni eminentemente pubblicistiche, genericamente definite in dottrina come <<servizi non oggettivamente postali>>, e che <<il ricorso ai contratti a termine è stato ed è determinato dalla necessità di mantenere inalterato il flusso dei servizi in questione, anche durante i periodi di ferie o di assenza a qualsiasi titolo del personale, come avveniva nel corso del previgente regime pubblicistico>>, senza però determinare un permanente appesantimento di bilancio. Le peculiari condizioni, non comparabili con quelle di un normale imprenditore privato, in cui l’ente Poste è chiamato ad operare, sia per quanto riguarda il contenuto dei servizi sia per quanto riguarda l’autonomia e l’ambito delle scelte, giustificherebbero dunque la normativa sottoposta allo scrutinio di legittimità costituzionale, in quanto rispondente ad obiettive esigenze di interesse pubblico e sociale, e porterebbero ad escludere tanto la asserita violazione dell’art. 41 della Costituzione quanto la denunciata lesione del principio di eguaglianza, con riguardo alla diversità di trattamento introdotta sia tra i lavoratori dell’ente Poste e gli altri lavoratori del settore privato, sia tra i lavoratori dell’ente assunti prima e quelli assunti dopo la scadenza del 30 giugno 1997.

Nemmeno sussisterebbe - ad avviso dell’Avvocatura - violazione alcuna dell’art. 35 della Costituzione, considerato che, con la norma denunciata, <<non è stata negata la tutela del lavoro, ma si sono precisati i termini in cui essa poteva aver luogo, in primo tempo consentendo le assunzioni temporanee con procedure semplificate, poi conciliando le esigenze dell’Ente con le aspirazioni dei lavoratori, ai quali è stata concessa la precedenza nelle assunzioni definitive>>.

2.2. - Si sono costituiti nel medesimo giudizio Sandro Luciani, Paola Simonelli, Oscar Trasarti e Albano Trasarti, ricorrenti nel procedimento a quo, concludendo per l’accoglimento della questione.

Nella memoria di costituzione si rileva in particolare che la norma denunciata - contrastante con la normativa di cui alla legge n. 230 del 1962, espressamente definita come <<inderogabile>> - violerebbe non solo il principio di eguaglianza formale, di cui all’art. 3, primo comma, della Costituzione, ma anche il principio di eguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dello stesso art.3 Cost., in quanto rivolta <<ad impedire la realizzazione dei diritti già formatisi in capo ai lavoratori a termine dell’ente Poste e in particolare di quello alla conversione del contratto a tempo indeterminato, già maturato ed entrato a far parte della sfera giuridica del singolo lavoratore fin dal momento della stipula del contratto>>. La norma stessa - ad avviso delle parti - sarebbe altresì in palese contrasto con il principio generale di tutela del lavoro e dei lavoratori di cui all’art. 35 della Costituzione e violerebbe inoltre l’art. 41 della Costituzione, sia perché lesiva della dignità umana dei lavoratori sia perché attributiva di un ingiustificato privilegio all’ente Poste rispetto alla generalità degli imprenditori.

2.3. - Nel secondo dei due giudizi dinanzi a questa Corte si è costituita Romina Ciccalè, ricorrente nel procedimento a quo, la quale ha concluso per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, sia con riguardo ai profili denunciati nell’ordinanza di rimessione sia in relazione ad ulteriori ipotesi di contrasto con gli artt. 4, 11 e 24 della Costituzione.

Ad avviso della parte privata, la norma impugnata violerebbe il principio di eguaglianza sotto quattro differenti profili: per l’irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento tra prestatori di lavoro a tempo determinato; per l’irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento tra datori di lavoro che siano parti di contratti di lavoro a tempo determinato; per la violazione dei principi di generalità ed astrattezza che devono essere propri della legge; per l’efficacia retroattiva della norma stessa.

La norma impugnata sarebbe altresì lesiva dei principi costituzionali in materia di tutela del lavoro - per le ragioni esposte nell’ordinanza di rimessione - e determinerebbe inoltre un effetto distorsivo della concorrenza sia sul piano interno che sul piano comunitario, così violando, sotto il primo aspetto, l’art. 41 della Costituzione, mentre sotto il secondo aspetto, oltre a violare l’art. 11 della Costituzione, integrerebbe altresì un’ipotesi di aiuto statale illegittimo ex art. 92 del trattato istitutivo della Comunità europea così come modificato dal Titolo II (Art. G.) del trattato sull’Unione europea.

La disposizione censurata violerebbe l’art. 41 della Costituzione anche sotto un ulteriore profilo, per il fatto di incidere su assetti negoziali già definiti dalle parti, così ledendo l’autonomia e la libertà negoziale dei soggetti privati.

L’efficacia retroattiva della norma, infine, sarebbe in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, in quanto, vanificando un giudizio già instaurato, limiterebbe le possibilità di tutela giurisdizionale e frustrerebbe <<l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica>>.

 

3. - Nel corso di un giudizio promosso nei confronti dell’ente Poste Italiane da lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, per la declaratoria di illegittima apposizione dei termini, il Pretore di Torino, con ordinanza del 16 dicembre 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 39 e 4 della Costituzione.

La lesione del principio di eguaglianza si sostanzierebbe - ad avviso del rimettente - nella violazione del principio di irretroattività della legge operata, in difetto di ragioni valide e meritevoli di apprezzamento, mediante un intervento legislativo ad personam (nei confronti cioè di uno specifico datore di lavoro), destinato ad incidere su situazioni già consolidate e definite, elidendo l’obbligo del datore di lavoro, pattiziamente assunto con l’art. 8 del CCNL per i dipendenti dell’ente Poste Italiane del 26 novembre 1994, di rispettare le prescrizioni inderogabili della legge n. 230 del 1962. Proprio in quanto operante su materia definita convenzionalmente dalle parti sociali, mediante il citato art. 8 del CCNL, la norma denunciata violerebbe altresì l’art. 39 della Costituzione, mentre la lesione del diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione, discenderebbe - secondo il giudice a quo - dalla considerazione che la norma in esame <<si muove ... secondo una logica e con un orientamento rovesciati rispetto al disegno emergente dal dettato costituzionale>>, a tutela cioè del contraente più forte.

3.1. - E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della questione.

Sostiene, nell’atto di intervento, l’Avvocatura che non sussisterebbe nella fattispecie violazione del principio di eguaglianza in quanto la norma denunciata non è destinata ad incidere su un singolo rapporto o procedimento, essendosi inteso con essa confermare una disciplina di ordine generale, precedentemente oggetto di controversa interpretazione ed applicazione. Riguardo alla prospettata violazione dell’art. 39, l’Avvocatura dello Stato rileva che sarebbero indimostrate sia l’applicabilità della disciplina collettiva, richiamata nell’ordinanza di rimessione, allo specifico settore sia la sua inderogabilità, ed infine, per quanto concerne la asserita lesione del diritto al lavoro di cui all’art. 4 della Costituzione, osserva che l’ente Poste Italiane non può essere equiparato, per la sua specificità, ad un qualsiasi datore di lavoro privato e che la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato risponde ad esigenze funzionali oggettive dell’ente stesso e d’altro canto consente di dare occupazione a personale che altrimenti non avrebbe potuto essere impiegato e di cui comunque è previsto l’accesso in via privilegiata alle assunzioni a tempo indeterminato.

3.2. – Si sono costituite in giudizio Antonella Ferrari e Federica Gatti, ricorrenti nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione sulla base delle medesime argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione.

 

4. - Il Pretore di Milano, con ordinanza emessa il 3 febbraio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, della legge n. 608 del 1996 (recte: art. 9, comma 21, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito nella legge 28 novembre 1996, n. 608), <<in quanto in contrasto con gli artt. 3, 4, 35, 39 Cost. e - per riflesso - con gli artt. 24, 101 e 104 Cost.>>.

Precisata la rilevanza della questione e richiamate le ordinanze di rimessione dei Pretori di Genova, Fermo, Torino e Padova, il rimettente sottolinea come la norma impugnata sia stata emanata per far fronte ad un problema (quello rappresentato dall’asserita sproporzione tra il numero degli aventi diritto all’accertamento della nullità del termine ed alla prosecuzione del rapporto rispetto alle effettive ed attuali esigenze di organico dell’ente) cui lo stesso ente Poste ha dato causa, attraverso la successiva assunzione a termine di persone sempre diverse. In siffatta situazione, l’atteggiamento di protezione riservato dal legislatore agli interessi dell’ente Poste rispetto a quelli dei lavoratori risulterebbe in palese contrasto sia con il principio di eguaglianza, sia con la tutela del diritto al lavoro di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione, mentre d’altro canto la retroattività della norma, priva di adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e pertanto a sua volta lesiva del principio di non discriminazione, comprometterebbe l’esercizio della funzione di neutrale ed indipendente controllo attribuita alla giurisdizione dagli artt. 24, 101 e 104 Cost.

Il rimettente osserva poi come l’ordinamento preveda rimedi specifici - anch’essi traumatici ma non eccezionali - che pur consentono al datore di lavoro di ridurre l’organico asseritamente esuberante, con l’onere però di osservare l’apposita procedura dettata dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), che garantisce il controllo sindacale sulle cause dell’addotto esubero. La norma impugnata, sottraendo alle organizzazioni sindacali dei lavoratori ogni possibilità di controllo sull’operato dell’ente Poste, determinerebbe perciò una grave lesione alla loro credibilità ed immagine e, di riflesso, al bene tutelato dall’art. 39 della Costituzione.

4.1. - E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della questione sulla scorta di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nel giudizio promosso dal Pretore di Torino (r.o. n. 53 del 1997).

4.2. - Si sono costituite in giudizio Marina Mazzini e Clara Fiorentin, ricorrenti nel giudizio a quo, le quali hanno concluso per l’accoglimento della questione.

 

5. - Il Pretore di Salerno, con ordinanza emessa il 5 febbraio 1997, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, ultima parte, della legge n. 608 del 1996 (recte: art. 9, comma 21, ultima parte, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito nella legge 28 novembre 1996, n. 608).

Il rimettente, premessa la rilevanza della questione rispetto al giudizio in corso, avente ad oggetto la declaratoria di nullità del licenziamento per nullità del contratto di lavoro a termine intercorso con l’ente Poste, rileva la violazione del principio di eguaglianza nella ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori a termine dipendenti dall’ente Poste e quelli dipendenti da altri datori di lavori.

5.1. - Intervenendo in giudizio per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato ha innanzitutto eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto l’assunzione di cui si tratta nel giudizio a quo sarebbe avvenuta - come si legge nell’ordinanza di rimessione - prima del 26 novembre 1994, data a decorrere dalla quale, secondo lo stesso giudice rimettente, la legge n. 230 del 1962 avrebbe dovuto trovare applicazione anche alle assunzioni temporanee effettuate dall’ente Poste Italiane.

Nel merito, la difesa erariale ha comunque concluso per l’infondatezza della questione sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte nei giudizi già pendenti.

 

6. - Il Pretore di Padova, con ordinanza emessa il 17 dicembre 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della stessa norma, nel corso di un giudizio promosso nei confronti dell’ente Poste Italiane, il cui oggetto non risulta tuttavia specificato dall’ordinanza di rimessione.

Il giudice rimettente, affermata la rilevanza della questione, prospetta la violazione del principio di eguaglianza, in primo luogo sotto il profilo della disparità di trattamento tra i lavoratori a termine dell’ente Poste Italiane e tutti gli altri lavoratori a termine, in quanto a questi ultimi continuerebbe ad applicarsi la normativa prevista dalla legge n. 230 del 1962 e successive, mentre ai primi tornerebbe ad applicarsi la disciplina pubblicistica, meno favorevole, prevista dalla legge 14 dicembre 1965, n. 1376 (Provvidenze concernenti il personale non di ruolo dell’Amministrazione delle poste e telegrafi e dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici), e dal decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 276 (Assunzioni temporanee di personale presso le amministrazioni dello Stato). Siffatta disparità di trattamento sarebbe infatti, ad avviso del giudice a quo, priva di giustificazione, riferendosi ad un ente i cui rapporti di lavoro, per effetto della legge n. 71 del 1994, sono regolati da norme di diritto privato e dalla contrattazione collettiva e che già opera, in rilevanti settori della sua attività, in concorrenza con imprese private i cui dipendenti a termine possono invocare la disciplina più rigorosa e garantista delle norme di diritto privato.

Il principio di eguaglianza risulterebbe poi ulteriormente violato sia con riferimento al differente trattamento ingiustificatamente riservato ai lavoratori a termine dell’ente Poste, a seconda che essi abbiano stipulato il contratto prima o dopo il 30 giugno 1997, sia avuto riguardo alla portata retroattiva della norma, in difetto di una adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza.

L’irragionevolezza delle denunciate disparità di trattamento appare, ad avviso del rimettente, tanto più evidente ove si consideri che la norma impugnata conferisce validità alle clausole appositive del termine, senza attribuire rilievo alla eventuale sussistenza delle cause di nullità previste dalla normativa previgente.

Sovrapponendosi alla disciplina stabilita dalla contrattazione collettiva intervenuta sulla base della espressa delega prevista dalla legge n. 71 del 1994, la norma impugnata violerebbe poi, secondo il giudice a quo, l’art. 39 della Costituzione in quanto occuperebbe spazi riservati alla autonomia collettiva in assenza di ragioni eccezionali o di problemi di compatibilità con gli obiettivi di politica economica individuati ai sensi dell’art. 41, terzo comma, della Costituzione.

6.1. - E’ intervenuta in giudizio, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato, eccependo innanzitutto l’inammissibilità della questione, per difetto di motivazione in punto di rilevanza.

Nel merito la parte pubblica deduce comunque l’infondatezza della questione riguardo ad entrambi i profili di illegittimità denunciati, sulla scorta delle medesime argomentazioni svolte, su tali punti, negli atti di intervento depositati nei giudizi pendenti.

6.2. - Si è altresì costituito in giudizio Tommaso Nalon, ricorrente nel procedimento a quo, il quale, premesso di essere stato assunto dall’ente Poste Italiane con due successivi contratti di lavoro a tempo determinato e di avere proposto, assumendo l’illegittimità dei termini, domanda di conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ha concluso per l’accoglimento della questione sollevata dal Pretore di Padova, sulla base di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nell’ordinanza di rimessione.

 

7. - Il Pretore di Lecco, con ordinanza del 5 febbraio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione.

Precisata la rilevanza della questione nei giudizi riuniti in corso, aventi ad oggetto domande di declaratoria di nullità del termine apposto a contratti di lavoro stipulati con l’ente Poste Italiane, con conseguente conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, il giudice rimettente osserva che la norma denunciata ha introdotto una evidente disparità di trattamento tra i lavoratori assunti a tempo determinato dall’ente Poste Italiane ed i lavoratori assunti con lo stesso tipo di contratto da altro datore di lavoro, con ciò violando sia il principio di eguaglianza, in senso formale e sostanziale, sia il diritto al lavoro. Ad avviso del giudice a quo la norma violerebbe altresì l’art. 41, secondo comma, della Costituzione secondo il quale l’iniziativa economica (e le norme a tutela della stessa) trova un limite nella dignità umana.

7.1. - E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione sulla base di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nei giudizi pendenti.

7.2. - Si è altresì costituita in giudizio Mina La Falce, ricorrente in uno dei procedimenti riuniti, concludendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

 

8. - Il Pretore di Ferrara, con tre ordinanze di identico contenuto emesse il 5 marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione.

Premessa la rilevanza della questione, il rimettente osserva che la norma in questione appare innanzitutto lesiva del principio di parità di trattamento sia per il suo carattere ingiustificatamente discriminatorio nei confronti dei dipendenti dell’ente Poste rispetto agli altri lavoratori a termine, sia per la sua efficacia retroattiva. L’incidenza della normativa sulle cause già pendenti giustificherebbe altresì il dubbio di legittimità costituzionale della norma stessa con riferimento agli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione.

8.1. - E’ intervenuto nei tre giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della questione.

Riguardo alla asserita lesione del principio di eguaglianza la difesa erariale ripropone le argomentazioni, svolte negli atti di intervento depositati nei giudizi pendenti, riguardo alla specificità dell’ente Poste ed alla sua non equiparabilità ad un qualsiasi datore di lavoro privato.

Per ciò che concerne invece la denunciata violazione dei principi costituzionali posti a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, si rileva preliminarmente nell’atto di intervento che la questione sollevata dal giudice a quo, in quanto attinente in realtà all’esercizio asseritamente distorto del potere legislativo, avrebbe dovuto semmai essere denunziata nelle forme del conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, previsto dall’art. 134, secondo comma, della Costituzione, cosicché la questione stessa dovrebbe in questa sede essere dichiarata inammissibile. Nel merito se ne deduce comunque l’infondatezza, in quanto la norma impugnata non verte in materia penale, non è lesiva del giudicato e non è univocamente ed intenzionalmente diretta ad interferire su giudizi in corso.

 

9. - Il Pretore di Parma, con ordinanza emessa il 24 febbraio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 35 della Costituzione.

Illustrata la rilevanza della questione, il rimettente osserva che la norma impugnata è evidentemente lesiva del principio di eguaglianza per la discriminazione che introduce sia tra l’ente Poste e gli altri datori di lavoro sia tra i lavoratori a termine assunti dall’ente Poste e quelli assunti dagli altri datori di lavoro.

La norma - ad avviso del giudice a quo - contrasterebbe inoltre con i principi costituzionali in materia di lavoro ed in particolare con l’art. 35 della Costituzione, apparendo ispirata a finalità che certamente non sono di tutela del lavoro.

Essa violerebbe da ultimo l’art. 24 della Costituzione in quanto, per la sua efficacia retroattiva, limiterebbe la possibilità di tutela giurisdizionale, spiegando i suoi effetti sui giudizi in corso.

9.1. - E’ intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della questione sulla base di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nei precedenti atti di intervento.

 

10. - Il Pretore di Saluzzo, con ordinanza emessa il 1° marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 4, 39, 101, 102 e 104 della Costituzione.

Nell’ordinanza di rimessione - precisata la rilevanza della questione - si assume che la norma impugnata violerebbe il principio di eguaglianza per la disparità di trattamento che introduce tra i dipendenti dell’ente Poste ed i dipendenti degli altri enti pubblici economici il cui rapporto di lavoro è parimenti retto dal diritto privato, senza che tale disparità di trattamento possa trovare adeguata giustificazione nella rilevanza pubblica del servizio gestito dallo stesso ente Poste in regime di monopolio.

La norma denunciata, negando un diritto già perfezionatosi in capo al lavoratore, sarebbe altresì in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione, e, sovrapponendosi alla disciplina pattizia di cui all’art. 8 del CCNL, violerebbe inoltre l’art. 39 della Costituzione.

Essa, infine, sarebbe lesiva delle attribuzioni del potere giudiziario trovando la sua evidente ratio nell’intento di risolvere in senso favorevole all’ente Poste i numerosi giudizi promossi da dipendenti dell’ente assunti con contratto a termine e rivendicanti la conversione in contratto a tempo indeterminato.

10.1. - Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità e infondatezza della questione sulla scorta delle medesime difese già svolte nei precedenti giudizi.

 

11. - Il Pretore di Livorno, con quattro ordinanze di contenuto analogo emesse il 18 marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Il rimettente individua la violazione del principio di eguaglianza nella irragionevole disparità di trattamento introdotta dalla norma, in caso di contratto di lavoro a tempo determinato illegittimo, sia tra i dipendenti dell’ente Poste e gli altri lavoratori privati, sia tra i dipendenti dell’ente Poste assunti con contratto a termine prima del 30 giugno 1997 e quelli assunti successivamente a tale data.

11.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in tre dei quattro giudizi per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha concluso per l’infondatezza della questione replicando le difese già svolte nei precedenti atti di intervento.

11.2. - Con distinti atti di identico contenuto si sono costituiti, nel giudizio iscritto al n. 726 del r.o. del 1997, Francesco Rossi, Maria Adele Picerno, Monica Rossi e Alessandra Papi e, nel giudizio iscritto al n. 727 del r.o. del 1997, Claudia Ticciati, Vincenza Formisano e Silvia Panicucci, tutti ricorrenti nei giudizi a quibus.

Le parti private concludono in via principale per l’inammissibilità della questione, per difetto di rilevanza, assumendo l’inapplicabilità della norma denunciata alle ipotesi - asseritamente ricorrenti nella specie - di contratto a termine ab origine nullo in quanto stipulato in violazione della legge n. 230 del 1962, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 510 del 1996. In subordine chiedono, nel merito, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale per le ragioni esposte nelle ordinanze di rimessione.

 

12. - Il Pretore di Gorizia, con ordinanza emessa l’8 marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 35, primo comma, 101, 102 e 104 della Costituzione.

Precisata la rilevanza della questione, il rimettente deduce che la norma impugnata - autorizzando le assunzioni a termine da parte dell’ente Poste senza alcun limite, in contrasto con quanto stabilito anche per il settore pubblico e per lo stesso ente Poste prima della trasformazione in ente pubblico economico, ed inoltre dichiarando inapplicabile l’art. 2 della legge n. 230 del 1962 anche in ipotesi nelle quali gli elementi costitutivi della fattispecie di conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato si erano già perfezionati – sarebbe lesiva del principio di eguaglianza, frustrerebbe l’affidamento nella sicurezza giuridica e contrasterebbe con il principio di tutela del lavoro.

La concomitanza con l’instaurazione di controversie <<seriali>> in materia giustificherebbe inoltre - ad avviso del giudice a quo - il sospetto che l’intervento legislativo sia stato intenzionalmente diretto ad incidere sui giudizi in corso, ledendo la funzione giurisdizionale.

12.1. - L’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, è di contenuto analogo a quelli depositati nei precedenti giudizi.

 

13. - Il Pretore di Latina, con ordinanza emessa il 27 maggio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.

Illustrata la rilevanza della questione, il giudice a quo rileva - a sostegno del dubbio di legittimità - che la norma impugnata introduce un regime di particolare favore per l’ente Poste rispetto a tutti gli altri datori di lavoro e, correlativamente, un regime di particolare sfavore nei confronti dei lavoratori assunti dall’ente Poste, con contratto affetto dai vizi previsti dalla legge n. 230 del 1962, rispetto ai lavoratori nelle stesse condizioni, assunti da altri datori di lavoro.

13.1. - L’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della questione, sulla base delle medesime argomentazioni svolte nei precedenti atti di intervento.

 

14. - Il Tribunale di Venezia, con ordinanza emessa il 6 marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione.

Il rimettente osserva che la norma denunciata - avente efficacia retroattiva pur in difetto di cause giustificatrici apprezzabili - ha determinato una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori a termine dell’ente Poste e tutti gli altri lavoratori a termine, nonché tra gli stessi lavoratori a termine dell’ente, a seconda che abbiano stipulato il contratto prima o dopo la scadenza temporale indicata. La norma stessa - secondo il giudice a quo - sarebbe poi lesiva del principio di libertà sindacale in quanto, superando la disciplina stabilita dalla contrattazione collettiva, frutto della espressa delega di cui alla legge n. 71 del 1994, restringe la sfera di autonomia collettiva in assenza di circostanze eccezionali o di questioni di compatibilità con gli obiettivi di politica economica di cui all’art. 41, terzo comma, della Costituzione. Esentando un singolo datore di lavoro dall’osservanza della disciplina in tema di contratto di lavoro a termine, la norma denunciata avrebbe infine dato vita ad un ingiustificato privilegio, in grado di alterare la concorrenza con gli altri imprenditori del settore.

14.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto anche in questo giudizio, mediante atto di contenuto analogo ai precedenti.

 

15. - Il Pretore di Camerino, con due ordinanze di identico tenore emesse il 13 gennaio 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione.

Precisata la rilevanza della questione nei giudizi a quibus, aventi ad oggetto domande di conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 230 del 1962, il rimettente osserva che la norma denunciata appare lesiva del principio di eguaglianza e della tutela del lavoro, per la discriminazione che introduce tra i lavoratori dell’ente Poste e tutti gli altri lavoratori, nonché della libertà di impresa, per la disparità di trattamento che determina tra una singola impresa e tutte le altre operanti nel medesimo settore.

 

16. - Il Pretore di Bologna, con tre ordinanze di identico contenuto emesse in altrettanti giudizi il 7, il 14 ed il 20 ottobre 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione.

Illustrata la rilevanza della questione e richiamate, quanto alla non manifesta infondatezza, le numerose ordinanze di rimessione già emesse da altre autorità giudiziarie, il rimettente deduce in particolare che la norma impugnata contrasterebbe con l’art. 3 Cost. per la violazione sia del principio di ragionevolezza, con riguardo alla retroattività della normativa, sia del principio di eguaglianza e parità di trattamento. La norma stessa sarebbe inoltre in contrasto con gli artt. 4 e 35 Cost., per la lesione del diritto al lavoro che ne discenderebbe, nonché con l’art. 39, primo comma, Cost. per la violazione del principio di libertà sindacale, in ragione dell’abrogazione della disciplina dettata, sul punto, dalla contrattazione collettiva.

16.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nei tre giudizi, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, mediante atti di contenuto analogo agli altri depositati nei giudizi già instaurati.

16.2. - Nel giudizio promosso con ordinanza del 20 ottobre 1997 si è costituito l’ente Poste Italiane, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione, con riserva di sviluppare nel prosieguo le proprie argomentazioni difensive.

 

17. - Nell’imminenza dell’udienza pubblica del 24 novembre 1998, alcune delle parti private hanno depositato memorie illustrative.

17.1. - Antonella Ferrari e Mina La Falce con memorie di identico contenuto hanno ribadito la richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma, quanto meno a decorrere dal 26 novembre 1994.

Le predette parti private, premesso che l’art. 6, comma 2, del decreto-legge 1° dicembre 1993 n. 487, convertito in legge 29 gennaio 1994, n. 71, espressamente prevedeva che il personale dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni restasse alle dipendenze dell’ente Poste <<con rapporto di diritto privato>>, rilevano tuttavia che il successivo sesto comma dello stesso articolo disponeva che ai dipendenti dell’ente continuassero ad applicarsi i trattamenti vigenti alla data di entrata in vigore del decreto fino alla stipulazione di un nuovo contratto e che tale norma era stata interpretata dalla giurisprudenza prevalente (Cass., Sezioni unite, n. 8587 del 1997) nel senso che la materia dei contratti a termine dovesse restare regolata dalla precedente disciplina di diritto pubblico e precisamente dalle norme dettate dall’art. 3 della legge 14 dicembre 1965, n. 1376, e dal d.P.R. 31 marzo 1971, n. 276.

Il dies a quo della applicabilità ai rapporti di lavoro dei dipendenti dell’ente Poste Italiane delle norme privatistiche (e, di conseguenza, il limite temporale iniziale della illegittimità costituzionale) potrebbe dunque essere fissato, ad avviso delle suddette parti, non al momento della costituzione dell’ente Poste ma al successivo 26 novembre 1994, data del primo CCNL per i dipendenti dell’ente medesimo.

Ciò premesso, le menzionate parti private ribadiscono la fondatezza delle censure di incostituzionalità mosse alla norma impugnata dai numerosi giudici rimettenti, richiamandone le argomentazioni secondo tre ordini gradati: a) quelle relative alla retroattività della norma, a loro volta collegate alla tematica dei diritti quesiti (art. 24 Cost.) e della tutela giurisdizionale (artt. 101, 102 e 104 Cost.), anche in riferimento al rilievo costituzionale dei diritti stessi (artt. 4, 35 e 41 Cost.); b) quelle relative alla violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.); c) quelle riguardanti la lesione del ruolo delle organizzazioni sindacali e della contrattazione collettiva (art. 39 Cost.).

17.2. - Marina Mazzini e Clara Fiorentin, argomentando dal tenore letterale della norma ed in particolare dall’uso dell’indicativo presente (<<non possono dar luogo>>), sostengono preliminarmente l’applicabilità della norma impugnata ai soli rapporti di lavoro a termine ancora in essere alla data di entrata in vigore della norma stessa e, di conseguenza, eccepiscono l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale rispetto al giudizio a quo, avente ad oggetto domande di accertamento della nullità (originaria) del termine apposto a contratti che, pertanto, devono considerarsi, in base all’art. 1 della legge n. 230 del 1962, a tempo indeterminato fin dalla loro origine. Ad avviso delle parti private la norma impugnata opererebbe dunque soltanto con riferimento alla fattispecie di conversione di cui all’art. 2 della legge n. 230 del 1962, come del resto ritenuto anche da taluni giudici di merito, con interpretazione che, in quanto conforme ai principi costituzionali, deve ritenersi preferibile a quella in base alla quale il rimettente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale.

In via subordinata, nel merito, le predette parti concludono per l’accoglimento della questione sollevata dal Pretore di Milano. La norma impugnata, come interpretata dal giudice a quo, sarebbe infatti lesiva del principio di eguaglianza, in quanto irragionevolmente discriminatoria per i lavoratori dell’ente Poste; inoltre, per la sua efficacia retroattiva, diretta a sanare le inadempienze dell’ente in danno dei diritti costituzionalmente garantiti dei lavoratori, violerebbe ulteriormente gli artt. 3, 4, 24, 101 e 104 Cost.; traducendosi in una inammissibile compressione di quella sfera di autonomia collettiva alla quale il legislatore del 1994 aveva espressamente delegato la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti dell’ente Poste, sarebbe infine in contrasto con il principio di libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost.

17.3. - Tommaso Nalon ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione riguardo alla violazione degli artt. 3 e 39 Cost.

17.4. - Romina Ciccalè sottolinea come la <<vera e propria ablazione normativa>> operata dal legislatore del 1996 in danno dei lavoratori a termine dell’ente Poste non possa ritenersi in alcun modo compensata <<dall’evanescente diritto di precedenza in ipotesi di assunzione>> previsto dalla prima parte della norma sottoposta a scrutinio. Richiamando la giurisprudenza costituzionale formatasi in materia previdenziale - i cui principi sono a suo avviso estensibili alla fattispecie in esame - contesta quindi la legittimità di un intervento legislativo che, per il suo carattere retroattivo, lede il principio dell’affidamento, <<inteso come affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, per situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, in quanto elemento fondamentale dello Stato di diritto>>. Alla norma impugnata, infatti, non può essere attribuito valore interpretativo, in quanto nessun margine di dubbio residuava - stante l’espresso richiamo operato in sede di contrattazione collettiva - riguardo all’applicabilità della normativa privatistica in tema di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato.

Per quanto riguarda, infine, la prospettata lesione delle norme costituzionali ispirate al principio lavoristico, la parte ricorda come la Corte costituzionale abbia in più occasioni affermato che l’art. 4 Cost. ha una propria efficacia precettiva, suscettibile di essere violata dal legislatore ordinario, <<proprio perché impone a quest’ultimo dei fini fondamentali per la stessa forma di Stato vigente>>.

17.5. - La s.p.a. Poste Italiane, succeduta all’ente Poste Italiane, costituitasi in uno dei giudizi promossi dal Pretore di Bologna, nella propria memoria difensiva osserva innanzitutto come numerosi giudici di merito abbiano respinto le domande di conversione proposte da lavoratori a termine dell’ente Poste Italiane, dichiarando inoltre manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità. Rileva altresì che la norma impugnata ha costituito oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di giustizia europea nell’assunto che essa concretizzasse un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 92 n. 1 del trattato CE e che la Corte, con sentenza del 7 maggio 1998, ha dichiarato che <<una disposizione nazionale che esoneri una sola impresa dall’obbligo di osservare la normativa di applicazione generale riguardante i contratti di lavoro a tempo determinato non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 92 n. 1 del Trattato CE>>.

La s.p.a. Poste Italiane - anche richiamando le motivazioni delle citate sentenze di merito - deduce quindi che <<la formula dell’ente Poste Italiane ha costituito la fase transitoria del passaggio dalla precedente azienda autonoma all’attuale assetto di società per azioni>> e proprio nel suo carattere transitorio troverebbe giustificazione, in base agli ordinari canoni di ragionevolezza, la norma impugnata, efficace per un ben preciso periodo storico, con riguardo ad un limitato numero di contratti, in vista di una impellente necessità di riduzione dei costi della struttura e di economicità di gestione. La necessità di un regime transitorio è stata d’altro canto avvertita dal legislatore, in termini generali, nell’intero processo di privatizzazione del pubblico impiego tanto che esplicitamente l’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), nell’autorizzare il Governo a prevedere la riconduzione dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni sotto la disciplina del diritto civile, lo impegnava nello stesso tempo a dettare <<una disciplina del diritto transitorio idonea ad assicurare la graduale sostituzione del regime attualmente in vigore>>.

L’evoluzione normativa sui rapporti di lavoro, in Italia come in tutta Europa, è del resto nel senso - ad avviso della suddetta parte - di una dilatazione, rispetto alla legge del 1962, delle ipotesi di ammissibilità dei contratti di lavoro a termine, visti come strumenti versatili per sopperire alle temporanee esigenze di personale e garantire l’assunzione di forza lavoro, altrimenti disoccupata. La Corte, chiamata a pronunciarsi su questioni di legittimità costituzionale riguardanti norme che ponevano limitate deroghe ai principi della legge n. 230 del 1962, ha affermato che <<rientra nella discrezionalità del legislatore, insindacabile se non risulti esercitata in modo irrazionale ed arbitrario, la scelta di quei settori relativamente ai quali, stanti le loro peculiari caratteristiche ed esigenze nonché la necessità di soddisfazione delle più impellenti e pressanti finalità occupazionali specie giovanili, possa ragionevolmente disporsi una deroga al principio sancito dalla l. n. 230 del 1962>> (ordinanza n. 347 del 1988).

La stessa Corte, con la sentenza n. 40 del 1986, ha anche respinto le eccezioni di incostituzionalità che erano state sollevate riguardo al d.P.R. 31 marzo 1971, n. 276, proprio con riferimento alla disparità di trattamento che detta normativa introduceva tra impiego pubblico e privato in materia di contratti a termine.

 Con altre pronunce, sotto diverso aspetto, la Corte ha più volte sottolineato che il carattere privatistico del rapporto di impiego dei dipendenti degli enti pubblici economici non esclude che il legislatore possa adottare, per specifici profili, una normativa derogatoria che può essere più favorevole o meno al dipendente e che trova giustificazione nelle finalità pubbliche che l’ente deve perseguire. E non vi è dubbio - secondo la s.p.a. Poste Italiane - che l’opzione legislativa in esame sia posta a salvaguardia di interessi costituzionalmente rilevanti, quali l’attuazione del diritto al lavoro, mediante il consolidamento di sane strutture aziendali (artt. 4, 35 e 36 Cost.), l’adeguamento del sistema dei servizi pubblici agli standard comunitari (art. 10 Cost.), la realizzazione di un sistema infrastruttrale di servizi che renda effettivamente libera l’iniziativa economica (art. 41 Cost.), l’assicurazione del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) di cui è condizione essenziale l’equilibrio finanziario delle strutture amministrative, la realizzazione di opportune discipline dei servizi pubblici essenziali (art. 43 Cost.).

Quanto alle censure connesse all’efficacia retroattiva della norma, la parte osserva che - secondo quanto emerge dalla giurisprudenza stessa della Corte - l’irretroattività, pur costituendo un principio generale del nostro ordinamento, non è elevato, fuori della materia penale, al rango di canone costituzionale, cosicché è possibile incidere negativamente anche su posizioni di diritto soggettivo perfetto sempre che non sia violato il criterio della ragionevolezza. E’ pur vero che un limite alla retroattività è stato individuato nell’affidamento di una vasta categoria di cittadini nella sicurezza giuridica, che costituisce l’elemento fondamentale dello Stato di diritto, ma deve ritenersi che nessun problema di affidamento si ponga per i lavoratori assunti con contratto a termine dall’allora ente Poste, essendo a costoro ben noto il carattere temporaneo dell’assunzione.

 

18. - All’esito della discussione svoltasi all’udienza pubblica del 24 novembre 1998, questa Corte, con ordinanza istruttoria del 18 dicembre 1998, riuniti i procedimenti, ha richiesto al Ministro delle poste e delle telecomunicazioni ed al Ministro del tesoro di fornire «i seguenti dati ed elementi:

1) numero dei lavoratori assunti con rapporto a tempo determinato dall'Amministrazione autonoma delle Poste negli anni 1991, 1992 e 1993;

2) numero e qualifiche dei lavoratori assunti dall’ente Poste Italiane con contratto di lavoro a tempo determinato, in qualsiasi modo concluso, nei periodi intercorrenti tra la data di costituzione dell'ente Poste Italiane ed il 26 novembre 1994 e tra quest'ultima data ed il 30 giugno 1997 (indipendentemente dal numero di contratti stipulati con ciascun lavoratore);

3) numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, tra quelli di cui sub 2), che potrebbero astrattamente rivendicare l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230, per l'asserita nullità o inefficacia della clausola concernente il termine, in relazione alla forma del contratto o alla sussistenza delle circostanze che, a norma della predetta legge e del contratto collettivo stipulato il 26 novembre 1994, consentivano la stipulazione di contratti a tempo determinato;

4) numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, tra quelli di cui sub 2), che potrebbero astrattamente invocare la conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230, a causa di proroghe o riassunzioni indipendenti dal periodo di intervallo;

5) procedure seguite per le assunzioni del personale a tempo determinato con l'indicazione degli organi dell'ente Poste che hanno in concreto proceduto alle assunzioni medesime;

6) costo annuo medio di ciascun lavoratore a tempo indeterminato rapportato alle qualifiche per le quali si è proceduto alle assunzioni a tempo determinato;

7) numero degli attuali dipendenti della s.p.a. Poste Italiane, dei quali è previsto il pensionamento per raggiunti limiti d’età nell’arco dei prossimi 35 anni con indicazione per ciascun anno;

8) esistenza di eventuali accordi sindacali stipulati dall’ente Poste Italiane o dalla s.p.a. Poste Italiane relativi a piani di assunzioni del personale con rapporto a tempo indeterminato e, in caso affermativo, misura in cui detti accordi abbiano a tutt'oggi trovato concreta attuazione».

Entrambe le amministrazioni hanno evaso la richiesta trasmettendo elementi conoscitivi provenienti dalla s.p.a. Poste Italiane.

 

19. - Nell’imminenza della nuova udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa.

Osserva innanzitutto la parte pubblica che le amministrazioni interpellate hanno legittimamente fatto ricorso – per rispondere ai quesiti formulati dalla Corte – a relazioni provenienti dalla s.p.a. Poste Italiane, non essendo esse in possesso dei dati necessari ed appartenendo del resto detta società, per intero, allo Stato italiano proprio attraverso il Ministero del tesoro.

Nel merito, l’Avvocatura rileva che le risposte ai quesiti evidenziano la gravità delle conseguenze che, sul piano economico-finanziario, deriverebbero per la s.p.a. Poste Italiane dall’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

Lo scenario risultante dalle risposte ai quesiti formulati dalla Corte offrirebbe dunque conferma – ad avviso dell’Avvocatura – della ragionevolezza della deroga apportata alla disciplina del lavoro a termine dalla norma denunciata, che non va considerata norma di favore per le Poste ma necessaria e ragionevole norma di organizzazione del lavoro nella delicata fase di privatizzazione dell’ente.

La stessa norma, del resto, prevede il diritto di precedenza dei lavoratori a termine in caso di assunzioni a tempo indeterminato da parte dell’ente Poste fino alla data del 31 dicembre 1996 e tale diritto - come risulta dalle risposte ai quesiti formulati dalla Corte - è stato in larga parte esercitato.

L’Avvocatura richiama a questo punto le argomentazioni tutte già svolte nelle memorie di intervento a sostegno della infondatezza delle questioni, soffermandosi poi, in particolare, sulla censura riferita all’asserita violazione dell’art. 3 Cost. che, secondo la gran parte dei rimettenti, deriverebbe dalla disparità di trattamento tra i lavoratori assunti dall’ente Poste con contratti a termine e tutti gli altri dipendenti del settore privato.

A tale proposito ricorda innanzi tutto che, prima della costituzione dell’ente Poste Italiane, i rapporti di lavoro precario con l’amministrazione delle Poste e telecomunicazioni non potevano in nessun caso dar luogo, in base alle leggi vigenti in materia di costituzione del rapporto di pubblico impiego, a rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Era dunque evidente che un’immediata applicazione della legge n. 230 del 1962 avrebbe comportato deleteri effetti organizzativi e pertanto la norma scrutinata deve considerarsi come una norma transitoria, non solo giustificata da finalità di interesse pubblico ma ragionevolmente imposta dalla vicenda stessa di privatizzazione.

Va in ogni caso considerato - ad avviso ancora dell’Avvocatura - che la legge n. 230 del 1962 non ha rilevanza costituzionale né può dirsi attuativa di principi costituzionali per la tutela del diritto al lavoro. Essa, inoltre, non può essere assunta a tertium comparationis, sia perché non ha valenza di principio generale del nostro ordinamento ma costituisce anzi deroga alla disciplina generale del codice civile - alla stregua della quale il contratto di lavoro a tempo determinato, nel caso di illegittima apposizione del termine, dovrebbe considerarsi nullo e non già convertirsi in un diverso tipo di contratto – sia perché è stata a sua volta derogata o modificata da leggi successive (ad es.: art. 36, comma 7, del d. lgs. n. 29 del 1993; art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 53).

La stessa Corte costituzionale del resto, in sede di giudizio di ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo della legge in questione (sentenza n. 41 del 2000), ha ammesso che il legislatore possa disciplinare discrezionalmente il contratto di lavoro precario <<prevedendo i casi in cui tali contratti si convertono in contratti a tempo indeterminato>>.

Analogo riconoscimento della discrezionalità del legislatore, in tema di modalità di attuazione del diritto al lavoro garantito dagli artt. 4 e 35 Cost., è contenuto nella sentenza n. 46 del 2000, relativa alla richiesta di referendum abrogativo dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970.

Anche la disciplina transitoria dei contratti a termine dell’ente Poste, contenuta nell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, rappresenta pertanto una modalità di attuazione della tutela del lavoro, rimessa alla discrezionalità del legislatore, con la conseguente infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.

 

20. - Anche la s.p.a. Poste Italiane ha depositato una memoria nell’imminenza dell’udienza pubblica, svolgendo argomentazioni non dissimili da quelle contenute nella memoria dell’Avvocatura.

Ad avviso di tale parte, la norma censurata rientra nel novero di quegli interventi di <<aggiustamento>> progressivo che si rendono spesso necessari nel corso del processo di privatizzazione di settori dell’apparato pubblico, al fine di agevolare il passaggio dalla disciplina pubblicistica a quella privatistica. Sempre in riferimento alla privatizzazione dell’ex Amministrazione postale, il legislatore ha del resto dettato discipline transitorie anche in materia di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, in materia di distacco dei dipendenti presso altre amministrazioni pubbliche ed in materia di strumenti di riduzione degli esuberi, ed analoghi interventi sono stati effettuati in numerose altre vicende di privatizzazione.

Con particolare riferimento alle censure riferite alla violazione del principio di eguaglianza, la difesa della s.p.a. Poste Italiane - così come l’Avvocatura dello Stato – ritiene che la legge n. 230 del 1962 non possa assumersi a tertium comparationis, in quanto essa non risponderebbe ad un principio di carattere generale, avendo anzi carattere derogatorio rispetto alla disciplina codicistica in materia contrattuale, né sarebbe applicativa di un qualsivoglia principio costituzionale, non rientrando la stabilità del posto di lavoro, secondo la stessa giurisprudenza della Corte, tra i beni tutelati dall’art. 4 Cost. Tanto ciò è vero che numerosissime sono state, nel tempo, le modifiche e le deroghe alla legge, tali da renderla ormai legge speciale nell’ambito della stessa legislazione del lavoro.

I rimettenti non avrebbero colto, in definitiva, un aspetto fondamentale della norma denunciata: l’avere essa ripristinato, sia pure in via transitoria, la regola generale del codice civile secondo cui il contratto nullo, per la nullità di un suo elemento essenziale, non produce effetti tra le parti.

La stessa Corte del resto, nella recente sentenza n. 41 del 2000, ha ritenuto inammissibile il referendum abrogativo della legge in questione non perché essa debba considerarsi attuativa di principi costituzionali, ma solo in quanto l’eliminazione totale della disciplina in materia di lavoro a termine costituirebbe una violazione degli obblighi imposti all’Italia dalla direttiva del Consiglio dell’Unione europea n. 70 del 28 giugno 1999. Analogamente, nella sentenza n. 46 del 2000, la Corte ha sottolineato come la predisposizione di garanzie a tutela del lavoratore sia affidata, quanto ai tempi ed ai modi di attuazione, alla discrezionalità del legislatore.

In conclusione, la s.p.a. Poste Italiane ritiene che la norma censurata costituisca legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore nella disciplina del rapporto di lavoro a termine e trovi la sua giustificazione nell’interesse pubblico al risanamento del gestore dei servizi postali ed al contenimento dei costi.

La non omogeneità tra l’ente Poste Italiane ed i datori di lavoro privati e, parallelamente, tra i dipendenti dell’ente Poste Italiane ed i dipendenti privati costituirebbe poi, sotto altro aspetto, ulteriore motivo di infondatezza della censura di illegittimità costituzionale riferita all’art. 3 Cost.

In riferimento agli ulteriori parametri evocati dai rimettenti, la s.p.a. Poste Italiane ribadisce infine le argomentazioni, già svolte nelle precedenti memorie, a sostegno della declaratoria di infondatezza delle questioni.

 

21. - Le parti private Maria Mazzini e Clara Fiorentin hanno a loro volta depositato una memoria, nella quale innanzitutto rilevano che la provenienza delle risposte ai quesiti dalla s.p.a. Poste Italiane - parte dei giudizi a quibus - invece che dalle Pubbliche amministrazioni effettivamente interpellate dalla Corte è di per sé sufficiente a rendere le risposte stesse scarsamente attendibili.

Le informazioni stesse apparirebbero comunque, ad avviso delle predette parti private, poco significative, così da imporre ulteriori approfondimenti istruttori.

 

22. - Le medesime parti private Maria Mazzini e Clara Fiorentin, unitamente a Mina La Falce, hanno successivamente depositato una memoria integrativa.

Ad avviso delle suddette parti private, diversamente da quanto sostenuto dalla s.p.a. Poste Italiane, i lavoratori aventi diritto all’assunzione sarebbero non più di 12.500, la metà dei quali - secondo valutazioni di comune esperienza - deve presumersi abbia nel frattempo perso interesse a perseguire in concreto l’assunzione stessa. Il numero delle assunzioni, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata, sarebbe perciò verosimilmente prossimo al numero medio (6.000 unità) dei lavoratori a termine costantemente utilizzati dalla s.p.a. Poste Italiane nel corso dell’anno. Il che porterebbe ad escludere i dirompenti effetti economici prospettati dalla medesima società.

 

23. - Questioni di legittimità costituzionale analoghe a quelle riassuntivamente esposte sono state sollevate anche da altre autorità giudiziarie.

 

24. - Il Pretore di Nicosia, con ordinanza emessa il 18 novembre 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento all’art. 3 Cost.

Deduce il rimettente, in punto di rilevanza, che il giudizio a quo ha ad oggetto la domanda, proposta nei confronti dell’ente Poste Italiane da una lavoratrice assunta nell’anno 1996 con contratto a tempo determinato, successivamente prorogato, diretta a far valere l’illegittima apposizione del termine per difetto dei presupposti di cui all’art. 1 della legge n. 230 del 1962.

L’assunto della lavoratrice è risultato fondato ma l’accoglimento della domanda sarebbe appunto precluso dalla norma denunciata.

Detta norma sarebbe ad avviso del rimettente in palese contrasto con l’art. 3 della Costituzione in quanto introdurrebbe, a vantaggio dell’ente Poste, una irragionevole disparità di trattamento tra i lavoratori assunti dall’ente stesso con contratto a termine ed i lavoratori a termine di tutte le altre imprese pubbliche e private.

24.1. - E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza della questione, sulla scorta di argomentazioni identiche a quelle già svolte negli altri giudizi.

 

25. - Il Pretore di Macerata ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, con ordinanza emessa il 19 febbraio 1998 nel corso di un giudizio avente ad oggetto la domanda di conversione di un rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 230 del 1962.

Ad avviso del rimettente la norma denunciata sarebbe in contrasto non solo con il principio di eguaglianza - sotto i medesimi profili considerati nell’ordinanza del Pretore di Nicosia - ma anche con la tutela del diritto al lavoro, assicurata dall’art. 35 Cost., e con la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., in considerazione dell’effetto distorsivo della concorrenza che deriverebbe dal trattamento di favore accordato all’ente Poste Italiane rispetto alle altre imprese operanti nel medesimo settore.

25.1. - E’ intervenuto anche in questo giudizio, concludendo per l’infondatezza della questione, il Presidente del Consiglio dei ministri per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, anche in questo caso replicando le difese già svolte negli altri giudizi.

 

26. - Il Pretore di Latina, con ordinanza emessa il 26 novembre 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in base ad argomenti non dissimili da quelli contenuti nelle ordinanze precedentemente considerate.

26.1. - L’Avvocatura generale dello Stato è intervenuta, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, depositando atto di contenuto analogo ai precedenti.

 

27. - Il Pretore di Trento ha sollevato, con cinque ordinanze di identico contenuto emesse il 30 novembre 1998, questione di legittimità costituzionale della stessa norma in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., sulla base delle medesime argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione già esaminate.

27.1. - L’Avvocatura generale dello Stato è intervenuta nei cinque giudizi con atti di contenuto analogo ai precedenti.

 

28. - Il Pretore di Pordenone ha sollevato, con ordinanza emessa il 23 aprile 1997, questione di legittimità costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt. 101 e 104 Cost.

Ad avviso del rimettente la norma violerebbe «il principio costituzionale dell’indipendente esercizio della funzione giurisdizionale (...) da parte del giudice ordinario (principio già affermato da codesta Corte con decisione 121 del 1993) sottraendogli il potere di interpretare autonomamente non già le disposizioni di legge, ma gli stessi fatti rilevanti per la qualificazione del rapporto».

28.1. - L’Avvocatura dello Stato è intervenuta in questo giudizio concludendo per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della questione, con riserva di illustrare successivamente le proprie ragioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le numerose autorità giudiziarie indicate in epigrafe hanno sollevato, con riferimento a differenti parametri (artt. 3, 4, 24, 35, 39, 41, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione) e sotto i profili analiticamente esposti in narrativa, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, ultimo periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996, n. 608, che così recita: «Le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall’ente Poste Italiane, a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto».

 

2. - Stante dunque l’identità dell’oggetto, i giudizi promossi dai Pretori di Nicosia, di Macerata, di Latina, di Trento e di Pordenone, fissati per la camera di consiglio del 5 aprile 2000, vanno riuniti, per essere unitariamente decisi, a quelli, già precedentemente riuniti, chiamati all’udienza pubblica del 4 aprile 2000.

 

3. - L’Avvocatura dello Stato eccepisce preliminarmente l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione sollevata dal Pretore di Salerno.

L’eccezione è fondata.

Il giudizio a quo, come si evince dall’ordinanza di rimessione, ha ad oggetto la declaratoria di nullità - ai sensi dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato) - di un contratto di lavoro a termine stipulato il 16 agosto 1994. Il rimettente assume peraltro, non implausibilmente, che le norme di natura privatistica di cui alla legge n. 230 del 1962 trovino applicazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti dell’ente Poste Italiane solamente dal 26 novembre 1994, data del primo CCNL per i dipendenti dell’ente. Ne discende, pertanto, secondo la prospettazione dello stesso rimettente, l’inapplicabilità della suddetta disciplina privatistica al rapporto di lavoro dedotto in giudizio, in quanto stipulato anteriormente al 26 novembre 1994, e la conseguente irrilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

 

4. - L’Avvocatura dello Stato eccepisce, altresì, l’inammissibilità della questione sollevata dal Pretore di Padova, per difetto di motivazione in punto di rilevanza.

Anche tale eccezione è fondata.

Il giudice rimettente, nel sollevare la questione, omette, infatti, qualsiasi indicazione riguardo agli elementi della fattispecie oggetto del giudizio cui egli è chiamato, cosicché a questa Corte risulta precluso il controllo sull’effettivo apprezzamento da parte dello stesso rimettente del requisito preliminare della rilevanza. Né, d’altro canto, l’omessa descrizione della fattispecie può ritenersi sanata dalle indicazioni fornite al riguardo dalla parte privata nella memoria di costituzione, trattandosi di allegazioni di parte inidonee a sostituire, in quanto tali, quelle demandate in via esclusiva al giudice rimettente.

 

5. – L’Avvocatura dello Stato eccepisce, inoltre, l’inammissibilità della questione sollevata dal Pretore di Ferrara, quanto alla denunciata violazione dei principi costituzionali posti a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, sull’assunto che il rimettente, lamentando in realtà l’esercizio asseritamente distorto del potere legislativo, avrebbe dovuto semmai sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell’art. 134 Cost.

L’eccezione è priva di fondamento. Seppure, infatti, non può radicalmente escludersi l’esperibilità – da parte del potere giudiziario – del conflitto di attribuzione avverso atti aventi forza di legge, tuttavia non vi è dubbio che il giudizio incidentale costituisca – allorché, come nella fattispecie, sia concretamente utilizzabile – lo strumento tipico per pervenire alla declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma di legge della quale il giudice sia chiamato a fare applicazione (sentenza n. 457 del 1999; ordinanze n. 144 del 2000 e n. 398 del 1999).

 

6. - Le parti private Marina Mazzini e Clara Fiorentin, nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica del 24 novembre 1998, eccepiscono l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione sollevata dal Pretore di Milano, assumendo che la norma denunciata debba trovare applicazione con riferimento ai soli rapporti di lavoro a termine ancora in corso - diversamente da quelli dedotti nel giudizio a quo - alla data di entrata in vigore della norma stessa.

L’eccezione va disattesa.

Il rimettente motiva, infatti, specificamente sul punto relativo alla applicabilità della norma in questione ai rapporti di lavoro a termine già esauriti, concludendo non implausibilmente per la soluzione affermativa sulla scorta di argomenti ermeneutici di carattere sia logico che letterale.

Argomenti rappresentati, da un lato, dalla considerazione che l’impegno, assunto dal Governo contestualmente alla conversione in legge del decreto, di «garantire comunque l’assunzione di quanti hanno proposto e vinto ricorso in prima istanza o inoltrato ricorso prima della emanazione del decreto 404 del 1996» (ordine del giorno Borghetta e Strambi, n. 9/2698/1), si giustifica solamente sul presupposto che anche i rapporti a termine già esauriti siano assoggettati alla disciplina impugnata; dall’altro, dalla circostanza che gli effetti della norma vengano fatti espressamente decorrere da una data, quella di costituzione dell’ente, risalente a quasi tre anni addietro, così da rendere assolutamente improbabile – tenuto conto della breve durata dei contratti a termine normalmente stipulati dall’ente Poste Italiane - che l’intenzione del legislatore fosse quella di rimuovere solamente i contratti in corso alla data di entrata in vigore della norma stessa.

 

7. - Del pari infondate sono le eccezioni di inammissibilità per difetto di rilevanza sollevate, in riferimento a due delle ordinanze del Pretore di Livorno, dalle parti private Francesco Rossi, Maria Adele Picerno, Monica Rossi e Alessandra Papi, nel giudizio iscritto al n. 726 del r.o. del 1997, e dalle parti private Claudia Ticciati, Vincenza Formisano e Silvia Panicucci, nel giudizio iscritto al n. 727 del r.o. del 1997, tutte basate sull’assunto che la norma denunciata debba trovare applicazione con riferimento alle sole ipotesi di conversione del contratto a termine ai sensi dell’art. 2 della legge n. 230 del 1962, con esclusione quindi dei casi, dedotti nei giudizi a quibus, di contratti ab origine nulli, ai sensi dell’art. 1 della stessa legge, per illegittima apposizione del termine.

L’assunto del rimettente, secondo il quale debbono invece ricomprendersi nell’ambito applicativo della norma anche le ipotesi di illegittima apposizione del termine, viene infatti giustificato sulla base della ratio della norma, individuata nella finalità di limitare le assunzioni dell’ente Poste Italiane, comunque derivanti dalla conversione di contratti a termine, senza distinzione perciò tra le ipotesi previste dall’art. 1 e quelle di cui all’art. 2 della legge n. 230 del 1962.

Motivazione, quella ora riferita, di per sé non implausibile e, pertanto, sottratta al sindacato di questa Corte.

 

8. - Nel merito, la questione non è fondata sotto alcuno dei profili evocati.

 

9. - Va in primo luogo disattesa la censura sollevata, con riferimento all’art. 77 Cost., dal solo Pretore di Genova, con ordinanza di data anteriore alla legge di conversione del decreto-legge n. 510 del 1996, fondata sul rilievo secondo cui la norma impugnata, emanata in difetto dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, costituirebbe mera reiterazione di quella di cui all’art. 9, comma 21, del decreto-legge 2 agosto 1996, n. 404 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), decaduto per mancata conversione.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che «il vizio di costituzionalità derivante dall’iterazione o dalla reiterazione attiene, in senso lato, al procedimento di formazione del decreto-legge in quanto provvedimento provvisorio fondato su presupposti straordinari di necessità ed urgenza: la conseguenza è che tale vizio può ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo in sede di decretazione d’urgenza» (sentenza n. 360 del 1996).

Deve poi escludersi ogni rilievo, nella specie, dei presupposti di necessità ed urgenza, posto che l’efficacia retroattiva della norma convertita in legge è tale da coprire anche il periodo intercorrente tra l’emanazione del decreto e la sua conversione.

La conversione in legge del decreto n. 510 del 1996 - successiva, come si è detto, all’ordinanza di rimessione – ha, pertanto, sanato ogni eventuale vizio attinente al procedimento di formazione del decreto stesso e porta ad escludere l’asserita violazione, nella specie, dell’art. 77 Cost.

 

10. - Tutti i rimettenti, ad eccezione del Pretore di Pordenone, hanno evocato, sotto differenti profili, il parametro di cui all’art. 3 Cost.

In particolare, i Pretori di Torino, di Milano, di Ferrara, di Gorizia, di Bologna ed il Tribunale di Venezia individuano, tra l’altro, la violazione del menzionato precetto costituzionale nella efficacia retroattiva della norma, attraverso la quale risulterebbe leso il principio di ragionevolezza nonché l’affidamento legittimamente sorto nei destinatari della norma stessa.

La retroattività della disciplina denunciata, siccome finalizzata a spiegare effetti sui giudizi in corso, comprometterebbe inoltre - ad avviso del Pretore di Milano - l’esercizio neutrale ed indipendente della funzione giurisdizionale, garantita dagli artt. 24, 101 e 104 Cost.

Sulla scorta di analoghe considerazioni la norma, in quanto retroattiva, è ritenuta in contrasto con gli artt. 101, 102 e 104 Cost. dai Pretori di Genova, di Ferrara, di Saluzzo e di Gorizia, ovvero con i soli artt. 101 e 104 Cost. dal Pretore di Pordenone, mentre il Pretore di Parma ravvisa nella deroga al principio di irretroattività della legge una lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., per la limitazione che ne conseguirebbe alla possibilità per i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei loro diritti.

 

10.1. - Al riguardo va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il divieto di retroattività della legge - pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi - non è stato elevato a dignità costituzionale, salva la previsione dell’art. 25 Cost. relativo alla sola materia penale. Il legislatore ordinario, nel rispetto di tale limite, può dunque emanare norme retroattive, purché trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (sentenze n. 229 del 1999, n. 432 del 1997, nn. 153 e 6 del 1994, n. 283 del 1993).

Ai fini del giudizio di legittimità costituzionale della norma denunciata, sotto il profilo considerato, deve, dunque, in primo luogo valutarsi se la sua efficacia retroattiva risponda a criteri di ragionevolezza ovvero costituisca un regolamento irrazionalmente lesivo di interessi sostanziali tutelati da norme preesistenti.

 

10.2. - Giova a questo punto ricordare che la vicenda di privatizzazione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni si è sviluppata attraverso due distinti passaggi. Dapprima, con l’art. 1 del decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero), convertito in legge, con modificazioni, con la legge 29 gennaio 1994, n. 71, detta Amministrazione è stata trasformata in ente pubblico economico denominato appunto ente Poste Italiane. Successivamente, in base alla previsione già contenuta nel secondo comma dello stesso art. 1 del decreto-legge n. 487 del 1993, con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 244 del 18 dicembre 1997, l’ente Poste Italiane è stato trasformato in società per azioni, le cui azioni sono state attribuite per intero al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

Da tale pur sommaria esposizione emerge con chiarezza come la costituzione dell’ente Poste Italiane abbia rappresentato la fase transitoria del processo di privatizzazione, evidentemente finalizzata alla realizzazione delle condizioni economiche e strutturali per la gestione in forma di società per azioni del servizio postale.

 

10.3. - L’art. 6, comma 2, del citato decreto-legge n. 487 del 1993, costitutivo dell’ente Poste Italiane, prevedeva che il personale dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni restasse alle dipendenze dell’ente "con rapporto di diritto privato".

Da ciò discendeva, come correttamente assumono i rimettenti, l’applicabilità ai rapporti di lavoro a termine stipulati dall’ente della disciplina, appunto privatistica, di cui alla legge n. 230 del 1962, applicabilità del resto ribadita dall’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994 per i dipendenti dell’ente Poste Italiane.

Le informazioni acquisite da questa Corte a seguito dell’ordinanza istruttoria del 18 dicembre 1998 – anche tenendo conto delle diverse allegazioni delle parti private – evidenziano, peraltro, nel periodo intercorrente tra la data di costituzione dell’ente Poste Italiane e quella di emanazione della norma denunciata, un diffuso e non spiegato ritardo, da parte degli organi locali dell’ente preposti alle assunzioni di personale a tempo determinato, nell’adeguarsi alla disciplina privatistica di cui alla legge n. 230 del 1962, così da porre in essere i presupposti per la trasformazione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato di un elevatissimo numero di rapporti a termine (comunque dell’ordine di svariate migliaia), stipulati in violazione degli artt. 1 e 2 della suddetta legge.

L’assoluta eccezionalità di tale situazione, a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alle eventuali responsabilità degli organi dell’ente, consente di individuare agevolmente la ratio della norma denunciata nella esigenza, avvertita come prioritaria, di salvaguardare l’interesse generale al buon esito del processo di privatizzazione del servizio postale. Il legislatore - come emerge con chiarezza anche dai lavori preparatori - ha cioè ritenuto che l’imprevista assunzione coattiva con rapporto a tempo indeterminato di migliaia di lavoratori potesse gravemente ed irreparabilmente pregiudicare il risanamento finanziario dell’ente, costituente ineludibile presupposto per la sua trasformazione in una società per azioni, destinata ad operare sul mercato in regime di parziale concorrenza e con criteri di economicità.

Sulla scorta di tali valutazioni, sicuramente non implausibili alla luce degli elementi di fatto di cui si è dato conto, l’attribuzione di efficacia retroattiva alla norma impugnata appare giustificata dalla esigenza di porre rimedio ad una situazione del tutto eccezionale e tale da compromettere irreparabilmente l’equilibrio finanziario e lo stesso processo di privatizzazione dell’ente.

Il sacrificio imposto ai lavoratori - peraltro attenuato dal riconoscimento, contenuto nella stessa norma, di un diritto di precedenza nelle future assunzioni a tempo indeterminato - risulta dunque non contrastante né con il principio di ragionevolezza né - come meglio si vedrà più avanti - con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.

 

10.4. - Deve per altro verso escludersi che l’efficacia retroattiva della norma, con la sua conseguente incidenza sui giudizi in corso, comporti una lesione delle prerogative del potere giudiziario e perciò la violazione degli artt. 101, 102 e 104 Cost.

Questa Corte ha da tempo chiarito, infatti, che la funzione giurisdizionale non può dirsi violata per il solo fatto di un intervento legislativo con efficacia retroattiva, quando il legislatore - come nella specie - agisca sul piano astratto delle fonti normative senza ingerirsi nella specifica risoluzione delle concrete fattispecie in giudizio (in tal senso, ancora, le sentenze n. 229 del 1999, n. 432 del 1997, n. 397 del 1994, n. 402 del 1993). Sicché, anche in relazione ai suddetti parametri, la questione deve essere dichiarata infondata.

 

10.5. - Sulla scorta di analoghe considerazioni deve, altresì, escludersi che la norma denunciata sia in contrasto con l’art. 24 Cost., in quanto la modifica del modello normativo, cui la decisione giudiziale deve riferirsi, operando sul piano sostanziale, evidentemente non incide sul diritto alla tutela giurisdizionale, a cui presidio è posta la norma costituzionale invocata.

 

11. - Il parametro di cui all’art. 3 Cost. è anche evocato da gran parte dei rimettenti sotto il diverso profilo della violazione del principio di eguaglianza: in particolare, dai Pretori di Genova, di Fermo, di Lecco, di Ferrara, di Parma, di Saluzzo, di Livorno, di Gorizia, di Latina, di Camerino, di Bologna, di Nicosia, di Macerata, di Trento e dal Tribunale di Venezia, in relazione all’ingiustificata disparità di trattamento che la norma introdurrebbe tra i lavoratori assunti con contratto a termine dall’ente Poste Italiane e quelli assunti con analogo contratto da altri datori di lavoro privati o enti pubblici economici; dai Pretori di Fermo, di Parma, di Latina, di Camerino e di Trento, in relazione all’ingiustificata disparità di trattamento tra l’ente Poste Italiane e gli altri datori di lavoro, anche in ipotesi operanti nel medesimo settore; dai Pretori di Milano e di Nicosia, in relazione alla protezione accordata agli interessi di una delle parti del rapporto, e cioè il datore di lavoro, rispetto all’altra.

Le medesime considerazioni già svolte in ordine alla ragionevolezza della norma, quanto alla sua efficacia retroattiva, rendono peraltro evidente la non fondatezza di tali censure.

Le denunciate disparità di trattamento trovano, infatti, adeguata giustificazione nella più volte ricordata esigenza di tutela dell’interesse pubblico al buon esito del processo di privatizzazione del servizio postale: interesse, questo, la cui rilevanza è tale da rendere non omogenee le situazioni poste di volta in volta a raffronto dai rimettenti.

La legittimità costituzionale di discipline differenziate del lavoro a termine, giustificate dalle peculiari caratteristiche dei singoli rapporti di lavoro, è stata del resto già riconosciuta da questa Corte (sentenza n. 80 del 1994, ordinanza n. 347 del 1988). Ed è per altro verso significativa la considerazione che una regola opposta a quella della conversione del rapporto a termine nullo è dettata dall’art. 36, comma 8, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, il cui rapporto di lavoro - del pari privatizzato - presenta non poche analogie con quello dei dipendenti di un ente pubblico, quale l’ente Poste Italiane, derivante dalla trasformazione di una pubblica amministrazione.

Il legislatore in ogni caso, in relazione alla eccezionalità delle circostanze di fatto che hanno reso nella specie necessaria una deroga alla disciplina comunque ritenuta in via generale applicabile ai dipendenti dell’ente Poste Italiane, ha contenuto l’operatività di detta deroga entro un preciso limite temporale, e cioè dalla data di costituzione dell’ente sino al 30 giugno 1997, con ciò evitando il consolidamento di situazioni di vantaggio in favore dell’ente stesso e di correlativo svantaggio in danno dei suoi dipendenti.

 

12. - Proprio in relazione a tale aspetto della disciplina denunciata, il Pretore di Livorno ed il Tribunale di Venezia prospettano un’ulteriore violazione del principio di eguaglianza, con riguardo alla disparità di trattamento che sussisterebbe tra i lavoratori assunti dall’ente Poste Italiane con contratto a termine prima del 30 giugno 1997 e quelli assunti successivamente a tale data.

Anche tale censura è tuttavia priva di fondamento, atteso che l’individuazione del termine entro il quale contenere la deroga alla disciplina comune non può che essere rimessa alla discrezionalità del legislatore, rimanendo il relativo esercizio sottratto - salva la manifesta irragionevolezza, non ravvisabile nella specie - al sindacato di legittimità costituzionale.

 

13. - L’asserita disparità di trattamento tra l’ente Poste Italiane e gli altri datori di lavoro operanti nel medesimo settore è poi ritenuta dai Pretori di Fermo, di Latina, di Camerino, di Macerata, di Trento e dal Tribunale di Venezia strumento distorsivo della concorrenza tale da comportare violazione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.

A tale proposito è sufficiente tuttavia osservare che l’ente Poste Italiane ha operato in regime di concorrenza limitatamente ai servizi di tipo non universale e non riservato, restando peraltro obbligato - in base all’art. 1, comma 3, del contratto di programmma del 17 gennaio 1995 - ad assicurare la prestazione, espressamente qualificata nello stesso Contratto di programma come prioritaria, di tutti i servizi universali e riservati, già svolti dall’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni.

Non sussistendo, dunque, nell’ambito dei servizi postali, una situazione di piena concorrenza, deve conseguentemente escludersi che la deroga apportata dalla norma denunciata alla disciplina dei contratti di lavoro a termine, limitatamente a quelli stipulati dall’ente Poste Italiane, possa considerarsi in contrasto con la libertà di iniziativa economica privata sancita dall’art. 41 Cost.

Giova d’altro canto ricordare, al riguardo, che la Corte di giustizia della Comunità europea, in sede di pronuncia pregiudiziale a norma dell’art. 177 del trattato CE, con sentenza del 7 maggio 1998 ha statuito, proprio in riferimento alla norma oggetto del presente giudizio di legittimità costituzionale, che «una disposizione nazionale che esoneri una sola impresa dall’obbligo di osservare la normativa di applicazione generale riguardante i contratti di lavoro a tempo determinato non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 92, n. 1, del Trattato CE».

 

14. - Non sussiste nemmeno la violazione del diritto al lavoro prospettata, con riferimento al parametro di cui all’art. 4 Cost., dai Pretori di Torino e di Saluzzo, con riferimento al parametro di cui all’art. 35 Cost., dai Pretori di Fermo, di Parma, di Gorizia, di Camerino e di Macerata e con riferimento ad entrambi i suddetti parametri dai Pretori di Milano, di Lecco e di Bologna.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la garanzia del diritto al lavoro apprestata dagli artt. 4 e 35 Cost. è infatti affidata alla discrezionalità del legislatore quanto alla scelta dei tempi e dei modi di attuazione e non comporta una diretta ed incondizionata tutela del posto di lavoro (sentenze n. 46 del 2000, n. 419 del 1993, n. 152 del 1975; ordinanza n. 254 del 1997).

 

15. - Va altresì disattesa la censura riferita al parametro di cui all’art. 39 Cost., evocato dai Pretori di Torino, di Milano e di Saluzzo e dal Tribunale di Venezia.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che nella attuale situazione di inattuazione delle regole costituzionali relative alla stipulazione di contratti collettivi con efficacia erga omnes, non può ipotizzarsi un conflitto tra l’attività sindacale e l’attività legislativa, non essendovi alcuna riserva legislativa e contrattuale a favore dei sindacati (sentenze n. 697 del 1988, n. 141 del 1980). La circostanza che una determinata disciplina legislativa venga recepita ed integrata in un contratto collettivo di lavoro non preclude dunque al legislatore la possibilità di modificarla o di derogarvi, tanto più quando la deroga sia - come nella specie - giustificata da una situazione eccezionale, a salvaguardia di un interesse generale, ed abbia carattere di transitorietà.

 

16. - Palesemente infondata è infine la questione sollevata dal Pretore di Lecco, con riferimento all’art. 41, secondo comma, Cost., sull’assunto che la norma, sacrificando il diritto al posto di lavoro già sorto in capo ai lavoratori, detti una disciplina dell’attività economica contrastante con la dignità umana di costoro.

Il suddetto parametro, essendo posto a salvaguardia dei diritti fondamentali della persona nello svolgimento delle attività produttive, non può essere infatti utilmente invocato – come del resto l’art. 4 Cost. – quando, come nella specie, venga in gioco la tutela del posto di lavoro. Ciò che porta, ovviamente, ad escludere la necessità di qualsiasi ulteriore considerazione al riguardo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

a) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, ultimo periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996, n. 608, sollevate, con le ordinanze in epigrafe, dal Pretore di Salerno, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, e dal Pretore di Padova, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione;

b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, ultimo periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996, n. 608, sollevate, con le ordinanze in epigrafe, dal Pretore di Genova, in riferimento agli artt. 3, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Pretore di Fermo, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Torino, in riferimento agli artt. 3, 4 e 39 della Costituzione, dal Pretore di Milano, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35, 39, 101 e 104 della Costituzione, dal Pretore di Lecco, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Ferrara, in riferimento agli artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Pretore di Parma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 35 della Costituzione, dal Pretore di Saluzzo, in riferimento agli artt. 3, 4, 39, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Pretore di Livorno, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Gorizia, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 35, primo comma, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Pretore di Latina, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Camerino, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Bologna, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, dal Pretore di Nicosia, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Macerata, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Trento, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Pordenone, in riferimento agli artt. 101 e 104 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 ottobre 2000.