SENTENZA N.432

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Dott. Renato GRANATA Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI Giudice

- Prof. Francesco GUIZZI "

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 28 ottobre 1996 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Mirco Bartolomei e l'Università degli Studi di Genova, iscritta al n. 1318 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Un medico-chirurgo, iscritto ad una scuola di specializzazione presso l'Università degli studi di Genova, ha adito il pretore di detta città, in funzione di giudice del lavoro, al fine di ottenere l'accertamento del proprio diritto all'incremento dell'importo della borsa di studio, nella misura del tasso programmato di inflazione, ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257.

Il Pretore, con ordinanza del 28 ottobre 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), in riferimento agli artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione, limitatamente alla parte in cui la norma stabilisce che <<le disposizioni di cui all'art. 7, commi 5 e 6, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, prorogate per il triennio 1994-1996 dall'art. 3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, vanno interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere nella misura prevista per il 1992, sono comprese le borse di studio di cui all'art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257>>.

1.2 - Il rimettente, pregiudizialmente, afferma la propria competenza quale giudice del lavoro, ritenendo che il rapporto fra i medici specializzandi e le rispettive scuole di formazione vada qualificato come rapporto di lavoro para-subordinato, in quanto le somme corrisposte sub specie di "borsa di studio" assolvono anche la funzione di remunerare le prestazioni lavorative. Inoltre, il rapporto neppure é assimilabile a quello dei medici tirocinanti, dato che solo gli specializzandi sono sostanzialmente inseriti nell'organizzazione sanitaria gestita dalle cliniche universitarie. Dunque, a suo avviso, non sono richiamabili le argomentazioni che, per i tirocinanti, fanno escludere la competenza del giudice del lavoro.

1.3 - Il Pretore , nel merito, premette una sintesi del quadro normativo nel quale si inserisce la disposizione censurata. In particolare espone che l'art. 6 del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, in attuazione della direttiva CEE n. 82/76 del 26 gennaio 1982, prescrittiva del principio che l'attività di formazione dei medici specializzandi debba formare <<oggetto di una adeguata rimunerazione>>, ha stabilito sia loro corrisposta una borsa di studio, il cui importo é annualmente incrementato, a far data dal 1992, nella misura <<del tasso programmato d'inflazione>>.

L'art. 7, comma 5, d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438 ha, successivamente, dettato che <<tutte le indennità, compensi gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi per disposizioni di legge ... di una quota di indennità integrativa speciale ... o dell'indennità di contingenza prevista per il settore privato, o che siano, comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita, sono corrisposti per l'anno 1993 nella stessa misura dell'anno 1992>>. L'art. 3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ha esteso l'applicabilità di detta norma al triennio 1994-1996. L'art. 1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, ha, infine, disposto che le norme dell'art. 7, commi 5 e 6 e del decreto-legge n. 384 del 1992 <<vanno interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere nella misura prevista per il 1992, sono comprese le borse di studio di cui all'art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257>>, ossia quelle erogate ai medici specializzandi.

1.4. - Il rimettente dubita che tale ultima norma violi gli artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione. La disposizione, a suo avviso, non ha natura interpretativa, bensì carattere innovativo ed efficacia retroattiva, dato che rende applicabile ad un rapporto di natura privatistica, qual é quello che lega i medici specializzandi all'Università, una disciplina che concerne il rapporto di pubblico impiego. La deroga del canone di irretroattività della legge non é peraltro giustificata da congrue ragioni, in quanto tale non può ritenersi quella di esonerare le Università dall'obbligo di pagare quanto dovuto in virtù delle norme anteriori, tanto più perchè stabilita allorquando <<si era consolidato (o si stava consolidando) un orientamento giurisprudenziale favorevole ai ricorrenti>>, così da rivelare che sua unica finalità é quella <<di incidere sui numerosi giudizi in corso>>, con conseguenziale lesione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione.

1.5. - L'applicazione retroattiva di una norma concernente il rapporto di pubblico impiego anche ad un rapporto di natura privatistica, prosegue il giudice a quo, fa sì che, irragionevolmente, i medici specializzandi, tra tutti coloro che abbiano concluso con la pubblica amministrazione un rapporto di tale natura, siano i soli ai quali é applicabile una disposizione finalizzata al <<contenimento della spesa pubblica nel settore del pubblico impiego>>, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l'inammissibilità della questione, a cagione dell'incompetenza del pretore rimettente quale giudice del lavoro, richiamando a conforto l'orientamento della Corte di cassazione, che esclude la qualificazione del rapporto medici specializzandi-Università come di lavoro para-subordinato. Un'ulteriore causa di inammissibilità é, inoltre, indicata nella genericità dell'eccepita violazione dell'art. 3 della Costituzione, derivante dalla mancata identificazione del tertium comparationis.

2.1. - Nel merito, l'Avvocatura dello Stato deduce la manifesta infondatezza della questione, osservando che la norma denunciata esplica la finalità insita nell'art. 7, comma 5, del d.l. n. 384 del 1992, di estendere il blocco della spesa pubblica a tutti gli emolumenti attribuiti sotto qualsiasi forma ai medici ed ha, quindi, indubbio carattere interpretativo. Inoltre, aggiunge il resistente, difetta ogni elemento per ipotizzare che l'intento del legislatore sia stato quello di interferire sui giudizi in corso, non predicabile in riferimento al caso in esame, nel quale il dubbio sull'interpretazione della disciplina applicabile <<era alimentato da una giurisprudenza palesemente fuorviante rispetto al significato che é poi stato ribadito in sede di interpretazione autentica>>.

3. - Le parti del processo principale non si sono costituite nel giudizio innanzi alla Corte.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dall'ordinanza indicata in epigrafe ha ad oggetto l'art. 1, comma 33 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nella parte in cui stabilisce che le disposizioni di cui all'art. 7, commi 5 e 6, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, "vanno interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere nella misura prevista per il 1992, sono comprese le borse di studio di cui all'art.6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257", in riferimento agli artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione.

Secondo il giudice rimettente, la norma, assertivamente interpretativa, sarebbe sostanzialmente innovativa della disciplina dell'importo delle borse di studio dei medici specializzandi, recata dall'art. 6 del decreto legislativo n. 257 del 1991. La disposizione denunciata, infatti, stabilendo, con efficacia retroattiva, il "blocco" dell'incremento dell'importo delle borse di studio nella misura del tasso programmato d'inflazione, in mancanza di ogni ragionevole giustificazione, e quando si era "ormai consolidato (o si stava consolidando) un orientamento giurisprudenziale favorevole" al riconoscimento del relativo diritto, avrebbe il solo scopo di interferire nell'esercizio della funzione giurisdizionale, violando così gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione.

Inoltre, secondo il giudice a quo, la stessa disposizione violerebbe anche l'art. 3 della Costituzione, in quanto irragionevolmente stabilisce nei confronti dei medici specializzandi, unici tra tutti i soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto iure privatorum, una norma finalizzata al "contenimento della spesa pubblica nel settore del pubblico impiego".

2. - In via preliminare, va respinta l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato sulla considerazione -fondata su un consolidato indirizzo giurisprudenziale- che il pretore rimettente non sarebbe competente, quale giudice del lavoro, a decidere la controversia oggetto del giudizio a quo, poichè il rapporto tra medici specializzandi ed Università non é inquadrabile in nessuna delle ipotesi previste dall'art. 409 del codice di procedura civile.

In proposito, occorre ricordare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il difetto di giurisdizione o di competenza del giudice rimettente rende inammissibile la questione, qualora appaia macroscopico ed emerga ictu oculi (ex plurimis: ordinanze n. 167 del 1997 e n. 348 del 1995). Questa circostanza non si verifica però nel caso in esame, in cui, per di più, il pretore rimettente ha espressamente affermato la propria competenza, svolgendo argomentazioni interpretative sia dell'attività dei medici specializzandi, sia del loro rapporto con le Università, che appaiono non implausibili e non palesemente arbitrarie. Tanto quindi basta per respingere la proposta eccezione di inammissibilità (sentenza n. 163 del 1993).

3. - Nel merito, la questione non é fondata.

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata non può dirsi interpretativa, bensì soltanto retroattivamente innovativa rispetto alla precedente disciplina, in quanto emanata con l'unica intenzione di incidere sui giudizi in corso e, per di più, priva di quei requisiti di ragionevolezza, che soli potrebbero giustificare la deroga al principio di irretroattività della legge.

In proposito va premesso che non é necessario verificare se la disposizione censurata abbia carattere interpretativo, oppure, come ritiene il giudice rimettente, sia una norma puramente innovativa con efficacia retroattiva. Tanto nel caso della norma propriamente interpretativa, quanto in quello della norma semplicemente retroattiva, infatti, questa Corte ha già precisato che la legge rimane pur sempre soggetta al controllo di conformità rispetto al canone generale di ragionevolezza, che assume pertanto in materia un valore particolarmente stringente, in quanto riferito alla certezza dei rapporti preteriti, nonchè al legittimo affidamento dei soggetti interessati (sentenze n. 6 del 1994, n. 402 del 1993, n. 440 del 1992).

Ciò premesso, si deve ricordare che il divieto di retroattività della legge non é stato elevato a dignità costituzionale, se si eccettua la previsione dell'art. 25 della Costituzione, limitatamente alla legge penale (ex plurimis: sentenze n. 153 del 1994, n. 283 del 1993). Pertanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, il legislatore ordinario può, nel rispetto di tale limite, emanare norme retroattive, purchè trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (sentenze n. 6 del 1994 e n. 822 del 1988). Se queste condizioni sono osservate, la retroattività, di per sè sola, non può ritenersi elemento idoneo ad integrare un vizio della legge, neppure in riferimento all'ipotesi particolare di incidenza su diritti di natura economica (sentenza n. 385 del 1994).

In questo quadro giurisprudenziale va dunque esaminata la proposta questione di costituzionalità.

4. - Non può essere accolto il profilo di illegittimità della norma impugnata, basato sul rilievo che essa sarebbe finalizzata a porre rimedio ad una scelta interpretativa della giurisprudenza difforme dalla linea di politica del diritto perseguita dal legislatore. La funzione giurisdizionale invero non può dirsi violata per il solo fatto dell'intervento legislativo, perchè il legislatore non tocca la potestà di giudicare, quando, come nella specie, si muove sul piano generale ed astratto delle fonti e costruisce il modello normativo, cui la decisione giudiziale deve riferirsi (sentenze n. 397 del 1994, n. 402 del 1993). E poichè, anche nel caso in questione, il legislatore ha agito sul piano delle fonti, delimitando la fattispecie normativa presupposto della potestas iudicandi senza ingerirsi nella specifica risoluzione delle concrete fattispecie in giudizio, la dedotta interferenza sul potere giurisdizionale non appare -tanto più non sussistendo giurisprudenza consolidata in materia- lesiva della divisione dei poteri, e dunque non risultano violati, sotto questo profilo, gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione.

5. - Neppure la censura di irragionevolezza della norma impugnata appare fondata.

Si deve infatti osservare che l'ordinanza di rinvio, pur denunciando il carattere discriminatorio della norma impugnata, non specifica in alcuna maniera quali sarebbero gli altri soggetti che hanno con l'Università un rapporto iure privatorum, rispetto ai quali i medici specializzandi sarebbero gli unici a vedersi applicare una disciplina restrittiva, dettata per il comparto del pubblico impiego. In questo modo il giudice a quo si sottrae all'onere (sentenza n. 46 del 1993) di individuare e precisare il tertium comparationis, dal cui confronto dovrebbe derivare l'asserita palese discriminazione. L'identificazione del termine di riferimento comparativo é invece tanto più indefettibile in questa fattispecie, quanto più si considerino, da un lato, la peculiarità della posizione dei medici specializzandi e, dall'altro lato, la particolarità di quel periodo temporale in cui appare generalizzata la eliminazione di ogni altro analogo meccanismo di adeguamento automatico degli emolumenti al costo della vita.

La norma impugnata, invero, non persegue affatto l'intento di discriminare irragionevolmente i medici ammessi alle scuole di specializzazione, ma, in una logica di bilanciamento con le fondamentali scelte di politica economica (sentenza n. 245 del 1997) e, inserendosi in un più ampio complesso di norme ispirate alla stessa ratio, adegua la loro situazione ad un diverso principio, generalizzatosi tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico. Si tratta del principio secondo il quale la difesa dall'aumento del costo della vita é da affidarsi precipuamente alle dinamiche contrattuali, in particolar modo alla contrattazione collettiva, piuttosto che a strumenti legislativi di adeguamento automatico. Sotto questo profilo, va rilevato che la legislazione vigente prevede per i medici specializzandi, pur nella peculiarità della loro posizione, un meccanismo di collegamento dell'importo delle borse di studio ai miglioramenti stipendiali del personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale (art. 6 del d.P.R. 8 agosto 1991, n. 257). Pertanto la disposizione censurata, escludendo per le predette borse di studio, in via eccezionale e per un ristretto arco temporale, l'incremento automatico del tasso di inflazione, non appare affatto irragionevole o discriminatoria, ma invece si inserisce in un ampio complesso di norme che perseguono, anche nel settore della sanità, il fine di impedire, per lo stesso periodo di tempo, tutti gli incrementi retributivi conseguenziali ad automatismi stipendiali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Pretore di Genova con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1997.