SENTENZA N. 71
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Cesare RUPERTO Presidente
-
Fernando SANTOSUOSSO Giudice
-
Massimo VARI "
-
Riccardo CHIEPPA "
-
Gustavo ZAGREBELSKY "
-
Valerio ONIDA "
-
Carlo MEZZANOTTE "
-
Fernanda CONTRI "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI "
-
Annibale MARINI "
-
Franco BILE "
-
Giovanni Maria FLICK "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera pp), della legge 30 novembre 1998, n.
419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e
funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs. 30 dicembre
1992, n. 502), e dell’art. 15-nonies,
comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), aggiunto dall’art. 13 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n.
229, promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 2000 dal Tribunale
amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Agresti
Alessandro ed altri nei confronti della Seconda Università degli Studi di
Napoli ed altra, iscritta al n. 700 del registro ordinanze 2000 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti l’atto di costituzione
di Amantea Luigi ed altri nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 20 febbraio 2001 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l’avvocato
Andrea Abbamonte per Amantea Luigi ed altri e l’avvocato dello Stato Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.- Il
Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con ordinanza emessa il 10
marzo 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 9, 36, 76 e 77 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1,
lettera pp), della legge 30 novembre
1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e
funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs. 30 dicembre
1992, n. 502), e 15-nonies, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), aggiunto dall’art. 13 del
decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229.
La
questione è detta rilevante nel giudizio a
quo in quanto la domanda proposta dai ricorrenti nei confronti della
Seconda Università degli Studi di Napoli e dell’Azienda Universitaria
Policlinico, di annullamento del decreto presidenziale con il quale i medesimi
ricorrenti, docenti universitari, sono stati posti in quiescenza dalle funzioni
assistenziali svolte presso i rispettivi dipartimenti, in applicazione
dell’art. 15-nonies, comma 2, del
decreto legislativo n. 502 del 1992, non potrebbe trovare accoglimento –
secondo il motivato convincimento del tribunale rimettente - se non attraverso
una declaratoria di illegittimità costituzionale della suddetta norma.
La non
manifesta infondatezza della questione stessa è argomentata con riferimento a
parametri costituzionali non del tutto coincidenti con quelli espressamente
enunciati.
Premesso,
in via generale, che «l’inscindibilità delle prestazioni afferenti
all’assistenza da quelle di ricerca e di didattica o, comunque, la
indispensabilità di un livello minimo di supporto “assistenziale” all’attività
didattica (e di ricerca) risponde ad un principio pacificamente accolto dalla
legislazione di settore» e rinvenibile anche nella normativa comunitaria, il
tribunale rimettente osserva, in primo luogo, che la previsione di cessazione
dall’attività assistenziale ordinaria «anticipatamente al raggiungimento
dell’età pensionabile dei docenti non appare coerente con il principio del buon
andamento (art. 97 Cost.) sia dell’insegnamento e della ricerca universitaria
che del sistema sanitario».
Da un
lato, infatti, risulterebbe compromessa l’efficacia dell’insegnamento e della
ricerca svolte dal docente universitario emarginato dalle funzioni assistenziali,
dall’altro il servizio sanitario sarebbe privato dell’apporto di soggetti
sicuramente qualificati.
Tanto
la norma delegata quanto la norma delegante di cui all’art. 2, comma 1, lettera
pp), della legge n. 419 del 1998,
sarebbero poi lesive del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in
quanto, «nell’intento di privilegiare l’omogeneità dei trattamenti del
personale del Servizio sanitario nazionale e di quello universitario» avrebbero
creato una ingiustificata discriminazione tra docenti, introducendo marcate
differenze di stato giuridico in funzione dell’età, in danno dei docenti
“strutturati”, nell’ambito di una categoria indubbiamente unitaria.
La
norma di delega, sotto altro aspetto, sarebbe altresì in contrasto con l’art.
76 Cost., per la mancata predeterminazione dei criteri idonei a definire le
modalità ed i termini del nuovo assetto funzionale dell’attività assistenziale.
Siffatto
difetto di predeterminazione dei principi sarebbe poi reso ancor più palese –
ad avviso sempre del rimettente – dal successivo rinvio, da parte del
legislatore delegato, ad atti di normazione secondaria. La materia da
disciplinare, riguardando l’individuazione della parte di attività
assistenziale da lasciarsi affidata, ai fini didattici e di ricerca, ai docenti
cessati dallo svolgimento delle attività assistenziali, involgerebbe infatti i
principi fondamentali relativi all’istruzione, con riferimento sia
all’organizzazione scolastica, di cui le università sono parte, sia al diritto
di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. La
mancata indicazione in sede legislativa delle linee fondamentali della
disciplina si risolverebbe quindi in una violazione della riserva di legge
prevista dagli artt. 33 e 34 Cost.
Lo
strumento convenzionale prescelto, oltretutto, non sarebbe idoneo a garantire
l’uniformità della disciplina sull’intero territorio nazionale ed anche in ciò
il Tribunale rimettente ravvisa una violazione sia della riserva di legge in
materia universitaria sia dell’art. 97 Cost.
Non
ritiene d’altra parte il rimettente di poter condividere la tesi, esposta nel
giudizio a quo dalla difesa erariale,
secondo la quale l’incisione sullo status
del personale docente sanitario sarebbe giustificata dalla preminente esigenza
di tutela della salute pubblica. Tale affermazione, a suo avviso, si fonderebbe
infatti su una visione riduttiva di tale tutela, che non tiene conto di come
questa presupponga medici in possesso di una adeguata formazione teorica e
pratica.
Un’ulteriore
lesione dell’art. 97 Cost. deriverebbe infine, sempre secondo il rimettente,
dalla previsione di immediata cessazione dall’attività assistenziale, pur in
difetto della previa regolamentazione del residuo di attività assistenziale da
svolgersi a fini di didattica, affidata a futuri protocolli di intesa tra le
regioni e le università. La ultravigenza dei decreti ministeriali 31 luglio
1997, 24 settembre 1997 e 17 dicembre 1997, prevista dall’art. 1, comma 5, del
decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti tra
Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell’articolo 6 della legge
30 novembre 1998, n. 419), non potrebbe infatti considerarsi alla stregua di un
idoneo regime transitorio, in quanto i suddetti decreti ministeriali
evidentemente non disciplinano – essendo preesistenti alla norma censurata – le
attività di cui si tratta.
2.- Si
sono costituiti in giudizio Amantea Luigi, Docimo Rocco e D’Alessandro Bruno,
ricorrenti nel giudizio a quo,
concludendo per l’accoglimento della proposta questione di legittimità
costituzionale.
In
aggiunta alle argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, le suddette
parti private assumono, in primo luogo, che la disposizione contenuta nella
norma delegante produrrebbe una illegittima compressione delle funzioni docenti
di cui sono titolari, in aperta violazione dei parametri di cui agli artt. 3 e
36 Cost., nonché dell’autonomia universitaria, costituzionalmente garantita ex art. 9 Cost.
La
norma delegata – ad avviso delle medesime parti private – sarebbe inoltre in
contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. per eccesso o travisamento di delega.
L’oggetto principale della delega di cui all’art. 2, comma 1, lettera pp) della legge n. 419 del 1998 sarebbe,
infatti, costituito dalla revisione dell’età pensionabile del personale
ospedaliero, mentre l’art. 15-nonies del
decreto legislativo n. 502 del 1992, aggiunto dall’art. 13 del decreto
legislativo n. 229 del 1999, nulla ha innovato riguardo all’età pensionabile
del predetto personale ospedaliero ed ha invece anticipato il termine di
collocamento a riposo del solo personale docente universitario, con la
previsione oltretutto di un regime transitorio penalizzante e sostanzialmente
avulso dal pregresso trattamento.
I
rapporti tra regione ed università per le prestazioni di attività assistenziale
avrebbero dovuto poi essere rielaborati in primo luogo mediante esercizio della
delega di cui all’art. 6 della legge n. 419 del 1998 ed in secondo luogo a
mezzo del decreto del Ministro della sanità, da adottarsi di concerto con il
Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e con la
Conferenza per i rapporti Stato-Regione, previsto dall’art. 6 (recte: art. 6-bis, comma 1, peraltro abrogato dall’art. 1 del decreto legislativo
n. 517 del 1999) del decreto legislativo n. 502 del 1992.
Sottolineano
ancora le parti private che il legislatore, a partire dall’art. 102 del decreto
del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della
docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione
organizzativa e didattica), ha sempre inteso farsi carico della peculiarità
delle funzioni ”miste”, assistenziali e didattiche, che si svolgono presso i
policlinici universitari, fino ad enunciare sostanzialmente, nell’art. 6 del decreto
legislativo n. 502 del 1992, un principio di funzionalizzazione dell’attività
assistenziale alla didattica e alla ricerca.
La
norma di cui all’art. 15-nonies del
decreto legislativo n. 502 del 1992 ignorerebbe siffatto principio, la cui
invalicabilità risulterebbe confermata dallo stesso tenore letterale della
legge delega, affidando a futuri protocolli d’intesa tra le regioni e le
università le modalità di utilizzo del personale universitario cessato dallo
svolgimento delle ordinarie attività assistenziali.
La
circostanza che tali protocolli di intesa – ai sensi dell’art. 1 del
sopravvenuto decreto legislativo n. 517 del 1999 – debbano essere stipulati in
conformità ad apposite linee guida contenute in atti di indirizzo e
coordinamento emanati dal Consiglio dei ministri non varrebbe infine a
garantire – secondo le parti private – l’uniformità della disciplina
sull’intero territorio nazionale, in quanto i principi e criteri direttivi
indicati al comma 2 del medesimo art. 1 difetterebbero della specificità ed
incisività richieste dalla riserva di legge da cui è coperta la materia
dell’istruzione universitaria.
3.- E’
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
infondatezza della questione.
L’Avvocatura
innanzitutto osserva che la norma delegante di cui all’art. 2, comma 1, lettera
pp), della legge n. 419 del 1998
espressamente prevede, tra i principi e criteri direttivi, quello relativo alla
definizione delle modalità e dei termini di riduzione dell’età pensionabile per
il personale della dirigenza dell’area medica dipendente dal Servizio sanitario
nazionale nonché, per quanto riguarda il personale universitario, della
cessazione dell’attività assistenziale, nel rispetto del proprio stato
giuridico.
L’Avvocatura
esclude che siffatto principio, trasfuso nell’art. 15-nonies aggiunto al decreto legislativo n. 502 del 1992, crei una
ingiustificata discriminazione nell’ambito della categoria dei docenti universitari,
stante la strumentalità dell’attività assistenziale rispetto all’attività di
didattica e ricerca.
Fin
dalla legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e assistenza
ospedaliera), il legislatore avrebbe infatti esteso al personale sanitario universitario,
chiamato a compiti di assistenza ospedaliera, la disciplina relativa ai diritti
e doveri del personale sanitario degli enti ospedalieri, ivi compresa dunque
quella relativa all’età pensionabile ovvero alla cessazione delle attività
assistenziali.
La
diversità di trattamento rispetto agli altri docenti universitari sarebbe
pertanto giustificata dalla obiettiva diversità delle situazioni a confronto,
in relazione all’attribuzione o meno di funzioni assistenziali.
Quanto
al parametro di cui all’art. 76 Cost., la parte pubblica rileva la completezza
dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega ed osserva come,
in tema di rapporti tra potestà legislativa e potestà normativa del Governo, la
Costituzione non escluda l’eventualità che un’attività normativa secondaria
possa legittimamente integrare e svolgere in concreto i contenuti sostanziali
previsti dalla normazione primaria.
Sotto
un diverso aspetto l’Avvocatura osserva poi che la riduzione dell’età
pensionabile disposta dall’art. 15-nonies
del decreto legislativo n. 502 del 1992 si riferisce al solo personale medico
universitario di cui all’art. 102 del d.P.R. n. 382 del 1980, ovvero a quel
personale medico universitario equiparato al personale delle unità sanitarie
locali. Se dunque la norma impugnata introduce una differenziazione di
disciplina nell’ambito della categoria dei docenti universitari, ciò avviene al
fine di evitare una disparità di trattamento tra soggetti, quali i docenti “strutturati”
e i primari ospedalieri, che svolgono le medesime funzioni assistenziali.
Considerato
in diritto
1.- Il
Tribunale amministrativo regionale per la Campania dubita, con riferimento agli
artt. 3, 9, 36, 76 e 77 della Costituzione, espressamente evocati, ed agli
artt. 33, 34 e 97 della Costituzione, chiaramente desumibili dalla motivazione
dell’ordinanza, della legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1,
lettera pp), della legge 30 novembre
1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e
funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs. 30 dicembre
1992, n. 502), e 15-nonies, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), aggiunto dall’art. 13 del
decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, nella parte in cui prevedono, per
il personale medico universitario di cui all’art. 102 del decreto del Presidente
della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza
universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione
organizzativa e didattica), la cessazione dallo svolgimento delle ordinarie
attività assistenziali nonché dalla direzione delle strutture assistenziali,
anticipatamente rispetto al raggiungimento dell’età pensionabile. Le norme
impugnate, ad avviso del rimettente, sarebbero lesive della parità di
trattamento tra i docenti universitari e del principio di buon andamento
dell’amministrazione sanitaria e di quella scolastica, oltre a violare la
riserva di legge in materia universitaria. La norma di delega si porrebbe
altresì in contrasto con l’art. 76 Cost. per la mancata predeterminazione dei
criteri idonei a definire le modalità ed i termini del nuovo assetto funzionale
dell’attività assistenziale.
Mentre
una ulteriore lesione dell’art. 97 Cost. deriverebbe, secondo il rimettente,
dalla previsione di immediata cessazione dell’attività assistenziale pur in
difetto della previa regolamentazione del residuo di attività assistenziale a
fini didattici, affidata a futuri protocolli di intesa tra le regioni e le
università.
2.- La
questione è fondata, nei limiti di seguito precisati.
2.1.-
Questa Corte ha ripetutamente osservato che l’attività di assistenza
ospedaliera e quella didattico-scientifica affidate dalla legislazione vigente
al personale medico universitario si pongono tra loro in un rapporto che non è
solo di stretta connessione, ma di vera e propria compenetrazione (sentenze n. 136 del
1997, n. 126 del 1981, n. 103 del 1977). Ciò in considerazione della natura
necessariamente teorico-pratica dell’insegnamento medico, a livello sia
universitario sia post-universitario, ribadita anche dalla più recente
normativa comunitaria in tema di reciproco riconoscimento dei diplomi medici,
resa operante nel nostro ordinamento con decreto legislativo 17 agosto 1999, n.
368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei
medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri
titoli).
L’affermata
esistenza di un preciso nesso funzionale tra attività assistenziale, da un
lato, ed attività didattica e di ricerca, dall’altro, non preclude certo al
legislatore di modulare in concreto, nell’esercizio della sua discrezionalità,
ampiezza e modalità di svolgimento della attività assistenziale dei medici
universitari, eventualmente anche in funzione dell’età dei docenti. Ciò che non
può invece ritenersi consentito – pena la violazione del generale criterio di
ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., oltre che del principio di buon
andamento tutelato dall’art. 97 Cost. – è la scissione tra l’uno e l’altro
settore di attività, con la conseguente creazione di figure di docenti medici
destinati ad un insegnamento privo del supporto della necessaria attività
assistenziale.
Lo
stesso legislatore delegato si è del resto mostrato consapevole di siffatto
limite, laddove ha previsto, nella seconda parte dell’art. 15-nonies, comma 2, del d.P.R. n. 502 del
1992, che in sede di protocolli di intesa tra le regioni e le università e di
accordi attuativi dei medesimi, stipulati tra le università e le aziende
sanitarie, siano individuate le «specifiche attività assistenziali strettamente
correlate all’attività didattica e di ricerca» che devono rimanere affidate al
predetto personale docente cessato dall’attività assistenziale ordinaria per il
raggiungimento del limite di età indicato dalla norma stessa.
Previsione,
questa, che nel delegare alle intese tra università e regioni la concreta
individuazione dell’attività assistenziale essenziale al proficuo svolgimento
dell’attività didattica e di ricerca non si pone affatto in contrasto –
diversamente da quanto il rimettente assume – con il principio della riserva di
legge in materia universitaria, non potendo tale riserva essere intesa in senso
tale da comprimere del tutto l’autonomia universitaria, garantita dall’ultimo
comma dell’art. 33 Cost. (si veda, sul punto, la sentenza n. 383 del
1998), né tanto meno costituisce violazione dell’art. 76 Cost., essendo le
valutazioni rimesse alle intese in questione di carattere essenzialmente
tecnico.
La
disposizione relativa alla cessazione della attività assistenziale ordinaria al
raggiungimento del previsto limite di età e quella riguardante le modalità di
individuazione delle specifiche attività assistenziali da ritenersi
strettamente connesse all’attività didattica e di ricerca – e da lasciarsi
perciò affidate al personale docente pur dopo il superamento di detto limite di
età - sono tuttavia tra loro prive di consequenzialità cronologica, nel senso
che l’operatività della prima delle due disposizioni non è subordinata alla
previa stipula dei protocolli d’intesa tra università e regioni. Con la
conseguenza che – come è avvenuto nei casi sottoposti all’esame del giudice a quo – il destinatario del
provvedimento di cessazione dallo svolgimento delle ordinarie attività
assistenziali viene ad essere irragionevolmente privato della possibilità di
svolgimento di qualsivoglia, pur minima, attività assistenziale, con evidente
ed ingiustificato pregiudizio per l’efficacia delle funzioni didattiche e di
ricerca che al medesimo docente restano affidate.
E’,
dunque, necessario, onde evitare siffatte conseguenze, che si pervenga alla
stipula dei protocolli d’intesa prima che possa essere disposta la cessazione
dei docenti interessati dalle ordinarie attività assistenziali.
3.-
Sotto tale profilo la norma di cui all’art. 15-nonies, comma 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, per le
ragioni più sopra indicate, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.,
restando così assorbita ogni altra censura mossa dal rimettente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 15-nonies,
comma 2, del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), aggiunto dall’art. 13 del
decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, nella parte in cui dispone la cessazione
del personale medico universitario di cui all’art. 102 del decreto del
Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, dallo svolgimento delle
ordinarie attività assistenziali, nonché dalla direzione delle strutture
assistenziali, al raggiungimento dei limiti massimi di età ivi indicati, in
assenza della stipula dei protocolli d’intesa tra università e regioni previsti
dalla stessa norma ai fini della disciplina delle modalità e dei limiti per
l’utilizzazione del suddetto personale universitario per specifiche attività
assistenziali strettamente connesse all’attività didattica e di ricerca.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 7 marzo 2001.
Cesare
RUPERTO, Presidente
Annibale
MARINI, Redattore
Depositata
in Cancelleria il 16 marzo 2001.