SALARI: in caduta libera ! |
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I
dati diffusi dall’ISTAT sono eloquenti: nei primi due mesi dell’anno, le
retribuzioni sono cresciute del 2,3% rispetto allo stesso periodo del 2002.
Meno, quindi, del tasso d’inflazione ufficiale, compreso tra il 2,6% e il
2,7%. Se si considera che le retribuzioni di operai e impiegati, rispetto a tre
anni fa, hanno perso rispettivamente il 4,9% e il 7,1%, come quella dei quadri
(3,4%) e dei dirigenti (3,2%), si ha un’idea ben chiara dell’arretramento
generalizzato del potere d’acquisto dei salari.
La
riduzione delle retribuzioni reali, in questi ultimi anni, è stata
pesantissima, un salasso mai visto.
Oltre
a questo dato generalizzato di tagli dei salari reali, dobbiamo confermare che
in questo paese già vigono le gabbie salariali; nel Sud Italia le retribuzioni
sono mediamente più basse di oltre il 10% rispetto al Nord Ovest. Così come le
donne guadagnano tra il 5 e il 13% in meno dei loro colleghi uomini. Inoltre,
l’area del paese ove più alti sono gli stipendi (il nord ovest), è quella
dove più bassa è la parte variabile del salario, cioè il salario accessorio
legato agli incentivi e alla produttività.
La
logica dei premi, della discrezionalità dirigenziale nell’assegnazione, tanto
cara alla nostra amministrazione (vedi per tutti la contrattazione sul fondo di
sede del IV dipartimento), oltre a collocarsi sempre di più al di fuori della
contrattazione collettiva, non può che peggiorare i rapporti di forza tra le
classi e di conseguenza i livelli dei salari medi. Per
questo, troveranno sempre, sulla loro strada, la forte opposizione della RdB.
Ci
troviamo, quindi, di fronte ad una distribuzione del reddito che è, in sé,
recessiva. Il continuo taglio dei salari determina un forte restringimento del
mercato interno. Ci hanno detto, da sempre, che le “sorti dell’economia
erano legate ai sacrifici dei lavoratori”: oggi bisogna dire, con chiarezza,
che le sorti dell’economia sono legate ad un deciso aumento delle
retribuzioni.
Parallelamente,
assistiamo, invece, a rinnovi contrattuali che non coprono la perdita del potere
d’acquisto dovuto all’inflazione e che, quindi, non invertono la tendenza.
Per questo, abbiamo sostenuto, durante la trattativa sul rinnovo del CCNL del
comparto ministeri, oltre all’adeguamento dei salari a quelli europei,
all’istituzione della 14ma mensilità, della necessità di introdurre
l’adeguamento automatico degli stipendi all’inflazione.
E’
evidente, pertanto, che da un lato, questa compressione salariale deprime
l’economia e dall’altro, la possibilità del padronato di ridurre i costi,
facendo leva sul taglio del costo del lavoro, impigrisce le imprese e ne mina le
capacità di innovazione.
L’aggressione
di questo capitalismo dai “bassi salari” lo si vede nell’allungamento
sistematico della giornata lavorativa (il Consiglio dei Ministri ha dato il via
libera al famoso decreto sull’orario di lavoro) e nell’allungamento
sistematico dell’età con cui andare in pensione.
Questa
“dei bassi salari” è la logica con cui il padronato ha “messo al
lavoro” la società e, in questi ultimi dieci anni, di come ha raddoppiato il
numero delle ore necessarie nell’arco della propria esistenza per poter
vivere.
La
richiesta di “alti salari”, quindi, oltre ad un miglioramento della propria
qualità di vita è la condizione necessaria per lo sviluppo di tutta la società.
L’attacco,
infine, a far sparire i contratti nazionali di lavoro a favore della
contrattazione territoriale (vedi il Patto per l’Italia siglato dalla CISL,
UIL, Confindustria e Governo, gli enti bilaterali etc.etc.) determinerebbe un
ulteriore aggravamento delle differenze salariali all’interno del paese e vi
aggiungerebbe differenze anche sul piano normativo. Sarebbe una vera e propria
guerra tra i poveri.
Per
questo, la RdB è in prima linea contro questa politica, anzi, è promotrice di
un’”altra” politica, quella dell’estensione dei diritti e delle tutele a
tutti i lavoratori partendo dal Sì
al referendum sull’art. 18.
Roma
8.4.2003