17 ottobre 2001
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LA RIFORMA
DELLA DIRIGENZA PUBBLICA
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Molti
colleghi ci hanno chiesto delucidazioni sul disegno di legge di riforma della dirigenza
pubblica. Al fine di fornire uno strumento informativo e di analisi, inviamo
quindi un articolo, apparso sul sito www.giust.it.
Pur non condividendone alcuni passaggi, soprattutto
sul piano delle proposte, riteniamo possa essere sufficientemente esaustivo
per cominciare a “farsi un idea”.
La redazione de “Il sacco bucato”
LUIGI OLIVERI:
Le principali novità della riforma
della dirigenza pubblica
Nel rispetto della linea dello spoil system,
il disegno di legge di riforma della dirigenza contiene parecchie ed
interessanti modifiche allo status e alla disciplina generale della
dirigenza.
Vice dirigenza. Una delle più significative novità consiste
nell'introduzione dell'innovativa figura della vice dirigenza. La nuova figura
professionale, tuttavia, non sarà introdotta direttamente dalla legge, bensì
sarà frutto della contrattazione collettiva, cui è affidata la facoltà, pertanto,
di introdurre i vicari dei dirigenti.
E' da augurarsi che, una volta entrata in vigore la
legge sulla dirigenza, non si perda l'occasione di razionalizzare
l'organizzazione delle strutture di vertice delle amministrazioni pubbliche.
Da anni, infatti, si trascina la questione relativa
all'esercizio delle funzioni dirigenziali anche da parte di dipendenti privi
della qualifica. L'esigenza di decentrare le competenze dirigenziali è motivata
da ragioni di buon andamento dell'amministrazione. L'eccessiva concentrazione
di competenze nei confronti di poche figure, infatti, può produrre l'effetto
del "collo di bottiglia", con inevitabili rallentamenti dei
procedimenti. Inoltre, i dirigenti possono essere posti nelle condizioni di
sottoscrivere e adottare atti dei quali non abbiano piena cognizione.
La figura del responsabile del procedimento è
certamente un importante rimedio a questi possibili problemi. Il responsabile,
infatti, ha il "governo" della procedura, attuato mediante
l'istruttoria procedimentale, che prefigura il contenuto finale del
provvedimento, esentando, quindi, il dirigente dal compimento delle attività
che alimentano il procedimento, per concentrarsi sull'adozione del
provvedimento finale che, a un tempo, è anche momento di controllo
dell'attività svolta.
E' anche vero, però, che far scendere il livello
delle responsabilità dirigenziali anche verso funzionari dalle competenze più
spiccatamente tecniche e specializzate, posti alla direzione di strutture più
ristrette e, dunque, potenzialmente in grado di adottare atti di elevato grado
di specializzazione, al fine di sgravare il peso decisionale sui dirigenti, è
una scelta talvolta indispensabile.
Parecchi autori da tempo sostengono la possibilità
per la dirigenza di delegare le proprie funzioni, traendo la conclusione, per
proprietà transitiva, che l'esigenza e l'opportunità di una delega delle funzioni
stia anche a fondamento della possibilità giuridica della delega medesima.
Altri, invece, sottolineano come il principio
generale dell'ordinamento, secondo il quale la delega, quale elemento che
scardina l'ordine legislativo delle competenze, può ammettersi solo in
presenza di norme che la prevedano espressamente, osservano che non basta
l'opportunità di questo istituto per considerarlo vigente.
La riforma della dirigenza è un'occasione da non
perdere soprattutto da questo punto di vista. La figura del vice dirigente,
infatti, oltre a svolgere le funzioni vicarie e, quindi, a sostituire in via ordinaria
(e dunque senza necessità di delega) il titolare in caso di sua assenza o
impedimento, potrà essere destinataria di deleghe delle competenze fissate
dall'articolo 17 del D.lgs 165/2001, per espressa previsione dell'articolo 3,
comma 3, del disegno di legge di riforma.
Detta disposizione, dunque, risolve la vexata
quaestio, e consente, finalmente, in modo espresso il decongestionamento
delle funzioni e la valorizzazione dei funzionari della pubblica
amministrazione. Al contempo, consentirà il maturare di una dirigenza
improntata più alla managerialità, che all'operatività.
La conseguenza, inevitabilmente, dovrebbe essere
nel lungo periodo la contrazione del numero dei dirigenti e la crescita della
loro qualificazione di gestori di processi e di coordinatori di attività.
L'espressa previsione della possibilità di delega,
comunque, conferma come nell'attuale sistema ogni teoria che la considera già
ammissibile sia, in realtà, priva del fondamento giuridico che giungerà solo
con l'entrata in vigore del disegno di legge.
C'è da sottolineare che i dirigenti di seconda
fascia possono a loro volta essere destinatari di deleghe da parte dei
dirigenti generali. Ebbene, dette competenze delegate non potranno essere
sub-delegate ai vice dirigenti, sia per il principio generale di divieto delle
subdeleghe, sia perché l'espresso riferimento alle competenze di cui all'articolo
17 impedisce l'attribuzione di deleghe relative alle competenze previste,
invece, dall'articolo 16 del D.lgs 165/2001.
La figura del vice dirigente è, inoltre,
un'importante occasione per la valorizzazione dei pubblici funzionari e la
risposta concreta, dopo anni, all'esigenza di costituire anche nell'ambito del
rapporto di impiego alle dipendenze di amministrazioni pubbliche delle figure
di quadri, ovvero di funzionari con competenze intermedie tra quelle degli
impiegati direttivi e quelle proprie della dirigenza.
La peculiarità della funzione vicaria e la
possibilità di esercitare funzioni dirigenziali delegate renderà, di fatto, i
vice dirigenti del tutto equiparabili ai quadri, ovvero soggetti posti alla
direzione di unità organizzative non di vertice, ma con la piena autonomia
gestionale e la relativa responsabilità dei propri atti, nonché potere di
impegnare l'ente verso l'esterno.
L'area della vice dirigenza, dunque, sarà destinata
a soppiantare, probabilmente, la figura sfocata delle posizioni organizzative,
un simulacro del ruolo del quadro che si è rivelato quasi del tutto privo di
concreta utilità, ad eccezione della sua presenza negli enti locali privi di
dirigenti. Indetti enti, infatti, il collocamento dei funzionari che svolgono
funzioni dirigenziali ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del D.lgs 267/2000
ha almeno sortito l'effetto di compensarli con una struttura retributiva
interessante e maggiormente commisurata alle responsabilità assunte.
Se i contratti, come in realtà prevede il comma 3
dell'articolo 3 del disegno di legge, creeranno una specifica area della vice
dirigenza, i vicari, dunque, si inseriranno tra i dirigenti e gli altri
funzionari. A quel punto, le posizioni organizzative che svolgono le funzioni
ad esempio di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), del CCNL in data
31.3.1999 del comparto enti locali si riveleranno sostanzialmente inutili,
negli enti in cui sia presente la dirigenza.
L'ordinamento del personale infatti prevederà che
le funzioni di direzione di settori di vertice o immediatamente inferiori a
quelle di vertice siano assegnate ai dirigenti ed ai loro vicari (se ne
potranno prevedere anche più di uno), dunque ai dipendenti delle aree della
dirigenza e dei quadri veri e propri, unici destinatari, in via originaria o
per delega, della competenza ad esercitare le funzioni dirigenziali gestionali
e di direzione.
Potranno restare, invece, le posizioni
organizzative relative a funzioni di studio e di reggenza di uffici di staff.
La creazione dell'area dei vice dirigenti potrà
presentare, proprio per quanto detto sopra, alcuni problemi di ordine
sindacale. L'accesso a detta area, infatti, è espressamente riservato al
personale inquadrato nel secondo o terzo livello retributivo della categoria
impiegatizia più elevata dei vari comparti, che sia anche laureato. Cesserebbe
l'effetto di appiattimento conseguente proprio alla contrattazione dell'ormai
scaduto ultimo quadriennio, che aveva permesso l'accesso alle categorie di
vertice – ed anche all'area delle posizioni organizzative – anche a personale
non laureato.
La vice dirigenza ripristina, correttamente, un
sistema tendente a riconoscere al personale laureato una potenziale maggiore
qualificazione, con i relativi benefici, soprattutto in un settore nel quale
la presenza di laureati risulta ancora particolarmente scarsa: infatti, l'accesso
alle posizioni di vertice dell'amministrazione pubblica tornerà ad essere
appetibile per i laureati.
Ciò potrebbe, in realtà, andare a detrimento del
personale non laureato già inquadrato nelle categorie di vertice della carriera
impiegatizia e probabilmente questa constatazione rischierà di essere un ostacolo
alla creazione contrattuale dell'area della vice dirigenza. Non bisogna
dimenticare che proprio questioni simili a queste impedirono di giungere alla
creazione dell'area quadri già sin dai tempi della prima contrattazione di
natura privatistica, ed al rinvio alla successiva tornata, con l'esito
discutibile delle posizioni organizzative. Forse, per evitare simili pericoli,
la riforma della dirigenza dovrebbe prevedere l'area della vice dirigenza
direttamente nel suo articolato, rinviano alla contrattazione collettiva non la
sua istituzione, ma semplicemente le modalità di assegnazione degli incarichi
(che dovrebbero essere affidati dai dirigenti, esattamente come gli incarichi
dei dirigenti di prima fascia sono assegnati dai dirigenti generali), lo status
giuridico e la struttura retributiva.
D'altra parte, la scelta di far accedere all'area
della vice dirigenza il solo personale laureato è indefettibile, nel rispetto
del principio secondo il quale il soggetto che svolge la funzione vicaria deve
essere in possesso dei medesimi requisiti e della stessa professionalità che
caratterizzano il titolare della funzione.
Apertura del ruolo unico. Un effetto volutamente
dirompente del disegno di legge è l'apertura del ruolo unico della dirigenza,
che non sarà più un albo corporativo nel quale si iscrivono soltanto coloro che
in una sorta di regime monopolistico possono essere chiamati a svolgere
funzioni dirigenziali nelle amministrazioni statali. Il ruolo unico, al
contrario, raccoglierà i dirigenti che stipulino contratti di lavoro a tempo
indeterminato con le amministrazioni statali. Ma gli incarichi dirigenziali
potranno essere attribuiti anche agli altri dirigenti pubblici dipendenti
dalle altre amministrazioni prese in considerazione dall'articolo 1, comma 2,
del D.lgs 165/2001 o dagli organi costituzionali, sia pure entro ristrette
percentuali.
Il sistema della dirigenza, così, diviene
sostanzialmente unico per tutta la pubblica amministrazione considerata nel suo
insieme. Vi potrà essere un'osmosi ed una circolazione delle esperienze,
potenzialmente di rilevante utilità, in quanto i dirigenti di diversa
estrazione e formazione potranno misurarsi con diverse esperienze gestionali ed
acquisire più ampie e vaste conoscenze e competenze.
I dirigenti delle amministrazioni non statali
potranno accedere agli incarichi previsti dall'articolo 1 del disegno di legge,
previo collocamento fuori ruolo, comando o analogo provvedimento secondo
l'ordinamento dell'amministrazione di appartenenza. L'articolo 3, espressamente
dedicato alla mobilità della dirigenza tra il settore pubblico e quello
privato, in aggiunta, prevede che i dirigenti delle amministrazioni pubbliche,
ma anche i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, nonché gli
appartenenti alle carriere diplomatiche e prefettizie e gli avvocati e
procuratori dello Stato possono collocarsi a richiesta in aspettativa, per lo
svolgimento di incarichi presso amministrazioni pubbliche diverse da quella di
appartenenza, oltre che presso soggetti privati.
La "circolazione" della dirigenza
nell'ambito pubblico, dunque, viene esaltata: il disegno di legge, pertanto, si
propone come fondamento di una disciplina di tutta la dirigenza pubblica e non
solo di quella statale. Con conseguenze immediate, pertanto, nell'ambito di
tutti gli ordinamenti delle pubbliche amministrazioni.
Ad esempio, le disposizioni fin qui citate
caducano, nella sostanza, la previsione di cui all'articolo 110, comma 5, del
D.lgs 267/2000, che attualmente prevede che qualora un dipendente di una
pubblica amministrazione assuma un incarico di dirigente extra dotazione
organica, il suo rapporto sia risolto di diritto. Tale conseguenza risulterebbe
incompatibile con il dettato del disegno di legge, una volta entrato in vigore
e, forse, potrebbe contribuire ad attivare con maggiore profitto un istituto
mirante alla flessibilizzazione della dirigenza locale.
Incarichi a tempo determinato. Il comma 6 dell'articolo
19 del D.lgs 165/2001 è modificato in modo da estendere la possibilità di attribuire
gli incarichi dirigenziali attraverso contratti a tempo determinato, a
soggetti che non appartengono al ruolo unico.
L'assegnazione degli incarichi a tempo determinati
sale dal 5 al 10 per cento per quanto riguarda i dirigenti di prima fascia (i
dirigenti generali); cresce leggermente meno, dal 5 all'8 per cento per i dirigenti
di seconda fascia.
La nuova formulazione del comma rende più chiare le
modalità di selezione dei soggetti ai quali affidare gli incarichi a contratto.
L'attuale testo prevede che la comprovata qualificazione professionale
prevista come requisito e presupposto per essere destinatari di detti incarichi
possa essere suffragata dallo svolgimento di attività in organismi pubblici e
privati o aziende pubbliche o private con esperienza quinquennale in funzioni
dirigenziali. Inoltre, il testo stabilisce che la particolare qualificazione
possa essere provata dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da
pubblicazioni scientifiche, nonché da concrete esperienze di lavoro, ma non qualifica
ed individua specificamente tali esperienze. Non a caso si sono verificati
ipotesi, nell'attuale regime, in cui incarichi dirigenziali a contratto sono
stati conferiti sul solo presupposto dello svolgimento di concrete esperienze
di lavoro apoditticamente ritenute tali da qualificare il soggetto
destinatario dell'incarico.
La nuova formulazione che deriverà dal disegno di
legge rimedia a questa oggettiva carenza, specificando che le concrete
esperienze di lavoro dovranno essere state "maturate, anche presso
amministrazioni statali, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla
dirigenza". Ciò significa che non basterebbe, ad esempio, lo svolgimento
di attività di consulenza per aziende non sarebbe sufficiente a qualificare la
concreta esperienza di lavoro, poiché invece sarebbe necessario dimostrare di
aver avuto con il soggetto pubblico o privato un rapporto di lavoro quanto meno
in funzioni direttive. Ciò dovrebbe contribuire a non fare dello strumento
degli incarichi a contratto un modo per aggirare l'ostacolo dei concorsi e
"far fare carriera" in modo accelerato a soggetti non effettivamente
dotati della spiccata professionalità richiesta dall'articolo 19 del D.lgs
165/2001.
Natura del conferimento degli incarichi. L'articolo 1 del disegno
di legge modifica in modo estremamente interessante il comma 2 dell'articolo 19
del D.lgs 165/2001, tale da poter mettere in seria discussione la prevalente
ricostruzione della natura dell'incarico dirigenziale elaborata dalla
giurisprudenza. In particolare la Corte Costituzionale con la sentenza 23
luglio 2001, n. 275 e la Corte di Cassazione con la sentenza 11 giugno 2001,
n. 7859 hanno in sostanza suffragato le tesi di chi sostiene che le nomine
(come le revoche) degli incarichi dirigenziali rientrino nel novero degli atti
privatistici di gestione del rapporto di lavoro, come espressione delle
potestà del datore di lavoro. Pertanto, è corretto che la giurisdizione in
materia di incarichi dirigenziali sia assegnata al giudice ordinario, nonostante
la natura pubblica dei soggetti dotati del potere di conferire gli incarichi.
Questa tesi ritiene che l'atto di conferimento
dell'incarico sia un tutt'uno con il contratto che disciplina l'incarico
medesimo. Il rapporto di lavoro, dunque, è disciplinato da due atti: il
contratto di lavoro a tempo indeterminato (o determinato), stipulato a seguito
dell'assunzione ed un altro contratto (che potrebbe coincidere anche col
primo) che disciplina l'incarico.
La formulazione dell'articolo 19, comma 2, del
D.lgs 165/2001, proposta dal disegno di legge pare modificare radicalmente
l'impianto. Infatti, distingue nettamente l'incarico dall'accordo che lo
disciplina. La disposizione prevede espressamente che vi sia un
"provvedimento" di natura molto evidentemente unilaterale ed
amministrativa, adottato dall'organo competente ad attribuire l'incarico.
Mediante detto provvedimento unilaterale si individuano oggetto, obiettivi da
conseguire e durata: detti elementi, pertanto, non sono oggetto di una
negoziazione paritetica tra amministrazione e dirigente, bensì frutto di una
determinazione esclusiva dell'amministrazione competente.
Ciò è confermato dalla previsione secondo cui
"al provvedimento di conferimento dell'incarico accede un accordo individuale
con cui è definito il corrispondente trattamento economico". L'accordo
negoziale, dunque, accede, ma come una conseguenza logicamente posteriore al
conferimento, all'incarico. L'incontro di volontà tra le parti, quindi, non
riguarda il contenuto e gli obiettivi dell'incarico, ma solo il trattamento
economico.
La formulazione proposta dal disegno di legge,
allora, sembra andare nella direzione suggerita da molta parte della dottrina,
che osserva come l'assegnazione dell'incarico dirigenziale non possa essere
configurata, in realtà, come frutto di una contrattazione privatistica paritetica.
Del resto, si osserva che l'incarico è conferito da organi di governo e con
provvedimenti per loro natura amministrativi, e che il potere di gestione dei rapporti
di lavoro con i poteri del datore di lavoro privato sono assegnati dalla legge
alla dirigenza e non agli organi di governo.
Il disegno di legge sembra, dunque distinguere
molto nettamente tre momenti e tre distinti provvedimenti, connessi tra loro,
ai fini del conferimento e della disciplina dell'incarico dirigenziale:
- il contratto di lavoro vero e proprio;
- il provvedimento che conferisce l'incarico
dirigenziale;
- l'accordo individuale col quale si definisce il
trattamento economico connesso all'incarico.
Se così andassero le cose, allora sarebbe difficile
continuare a sostenere che la giurisdizione relativa alla fase di conferimento
dell'incarico resti attribuita alla cognizione del giudice ordinario. Soprattutto
perché il conferimento dell'incarico sarebbe il frutto di una valutazione –
certamente unilaterale – delle capacità professionali di ciascun dirigente e
quindi esito di una procedura selettiva, anche se non concorsuale.
C'è da notare, per altro, che il disegno di legge,
modificando il comma 1 dell'articolo 19 del D.lgs 165/2001, semplifica
drasticamente proprio le modalità alla base del conferimento degli incarichi,
eliminando qualsiasi riferimento ai risultati conseguiti in precedenza ed il
criterio generale della rotazione degli incarichi.
Spoil system. Per questa strada il
disegno di legge persegue e sviluppa la strada dello spoil system,
introducendo anche ulteriori strumenti tesi a flessibilizzare notevolmente gli
incarichi dirigenziali.
La più sintetica e semplice formulazione
dell'articolo 19, comma 1, del D.lgs 165/2001 permette oggettivamente agli
organi di governo di attribuire gli incarichi con maggiore libertà di azione,
visto che manca la necessità di tenere conto dei risultati ottenuti in
precedenza, metro, invece, fondamentale per motivare soprattutto i passaggi ad
incarichi di rilievo superiore.
Occorre, per altro, sottolineare che il comma 1
così riformulato sopprime la disposizione, contenuta attualmente nell'ultimo
periodo del vigente comma 1, a mente del quale al conferimento degli incarichi
e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2013 del codice
civile. Cadrebbero, così, le residue remore di qualche giudice del lavoro nel
concedere tutela ai dirigenti nel caso in cui vengano loro assegnati incarichi
di minor rilievo di quelli ricoperti in precedenza, dal punto di vista
economico oppure in relazione all'ampiezza delle funzioni dirigenziali
esercitate e delle dimensioni della struttura da dirigere.
Ciò produrrebbe, probabilmente, un irrigidimento
del sistema, che sarebbe temperato, però, dall'ampliamento dei poteri di spoil
system assicurato da altre disposizioni del disegno di legge. Rileva, da
questo punto di vista, la modifica dei commi 1 e 2 dell'articolo 21 sempre del
D.lgs 165/2001, in tema di responsabilità dirigenziale. L'attuale testo
permette la revoca dell'incarico nel caso di grave inosservanza delle direttive
impartite dall'organo competente. La formulazione proposta dal disegno di
legge, invece, permette la revoca in base alla semplice violazione non
qualificata delle direttive, con un evidente ampliamento della responsabilità
dirigenziale ed un simmetrico accrescimento del potere degli organi di governo
di incidere sugli incarichi.
L'estensione dello spoil system, inoltre,
riguarda direttamente gli incarichi dirigenziali di prima fascia, che cessano
automaticamente decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo. Non
esisterebbe più, dunque, la possibilità della conferma implicita attualmente
prevista dal comma 8 dell'articolo 19 del D.lgs 165/2001: ogni nuovo governo
dovrà rivedere complessivamente lo scacchiere degli incarichi dirigenziali di
tipo generale, a meno che non si emanino provvedimenti espressi di conferma
degli stessi entro i 90 giorni dal voto di fiducia.
Ancora, l'ampliamento dello spoil system
deriva dalla possibilità conferita al governo di assegnare gli incarichi di
dirigenza generale ai dirigenti di seconda fascia non più limitatamente al 33%
di detti incarichi, bensì entro il limite del 50%. Il che, comunque, consente
una maggiore integrazione tra la dirigenza di prima e di seconda fascia ed
aumenta le possibilità di crescita professionale dei dirigenti non generali.
Notevole, infine, è il comma 2 dell'articolo 2 del
disegno di legge, il quale nel prevedere che le nomine conferite o rese
operative negli ultimi sei mesi antecedenti alla fine naturale della passata
legislatura possono essere confermate, revocate, modificate o rinnovate entro
180 giorni dall'entrata in vigore della riforma, introduce una sorta di
"semestre bianco delle nomine dirigenziali" retroattivo, rendendo,
così, precari a posteriori gli incarichi dirigenziali presso gli enti pubblici.
Effetti sugli enti locali. La riforma, come
sottolineato prima, pur riguardando direttamente la dirigenza statale,
coinvolge in realtà tutte le amministrazioni, non fosse altro che per la
possibile osmosi tra incarichi di dirigenti appartenenti a diversi enti. A
maggior ragione sarà applicabile anche agli enti locali: l'articolo 88 del
D.lgs 267/2000, infatti, stabilisce che all'ordinamento degli uffici e del
personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti ed i segretari comunali e
provinciali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio
1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni. Senza dimenticare che
l'articolo 111 del medesimo testo unico impone agli enti locali di adeguare il
proprio statuto ai principi dettati dal D.lgs 165/2001 relativamente alla
dirigenza, nel rispetto delle proprie peculiarità ordinamentali.
L'introduzione della figura dei quadri vice
dirigenti potrà rivelarsi risolutiva di tanti problemi organizzativi per
parecchi enti locali, le cui ridotte dimensioni spesso non consentono la
dotazione di una compagine dirigenziale completa.
Il disegno di legge di riforma della dirigenza,
inoltre, prevede un'espressa modifica all'articolo 101 del testo unico in
quanto introduce un comma 4-bis che consente di estendere la mobilità
dei dirigenti presso altre amministrazioni pubbliche o soggetti privati, anche
ai segretari generali in disponibilità, previa autorizzazione dell'Agenzia.
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