Il sacco bucato
Notiziario RdB-PI Ministero
Finanze e Agenzie Fiscali
n.
14/2001 – 5 dicembre
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Ora
parliamo di soldi… e tanti
Abbiamo
parlato a lungo di Salario Europeo, della necessità di aumenti veri che siano
recupero di un’inflazione che ha visto, negli ultimi otto anni, ognuno di
noi perdere oltre 8.000.000 annui di potere d’acquisto salariale (dati
ISTAT). Ma non basta. Lo Stato, oltre a non pagarci adeguatamente, si
rifiuta di darci decine di milioni nostri, e parliamo di cifre che variano
da 15 a 40 milioni procapite! Lo Stato, con sotterfugi vari, cerca di non
pagarci quanto ci deve. Vediamo nel dettaglio le singole questioni. A)
Interessi legali e rivalutazione monetaria ex. Legge 312/80. Lo Stato,
aveva, con la Finanziaria 2000 (Governo D’Alema), impedito l’estensione
del giudicato e bloccato le procedure di pagamento. La Corte costituzionale ha
giudicato tale pratica illegittima ed ma ora il Tesoro, anzi il Ministero
dell’Economia, anzichè stanziare i soldi in Finanziaria, fa ripartire il
valzer dei pareri all’Avvocatura. Il governo dei cento giorni, quello che
per interessi specifici, e non vogliamo entrare qui nella polemica
politica, è stato il più interventista della storia del nostro paese,
quando si tratta di interventi a favore del riconoscimento economico di
diritti indiscutibili cincischia e prende tempo come se fosse un qualsiasi
governo precedente… B) Maggiorazione RIA. Al danno della soppressione
degli scatti di anzianità si era, ricorderete, aggiunta la beffa del furto
di due/tre anni anzianità, che non permettevano a molti lo scatto del
diritto. A fronte dei sempre più numerosi ricorsi vinti dai dipendenti, il
Governo Amato, con la Finanziaria 2001, ha deciso di fornire interpretazione
retroattiva della norma in contrasto con quanto già definito per molti
colleghi dal Consiglio di Stato. Anche in questo caso è stata sollevata
l’eccezione di anticostituzionalità e stiamo attendendo il giudizio
della Corte suprema anche se la finanziaria in discussione (Governo
Berlusconi) cerca di reiterare il provvedimento.
C) Perequazione. Siamo al grottesco. A fronte del riconoscimento del
diritto di perequazione era, ricorderete, stato istituito un fondo che non
è mai stato alimentato sufficientemente (per un paio d’anni ci è stato
corrisposto circa un milione a fronte degli oltre cinque che ci spettavano) e
che poi è stato completamente prosciugato. Ora il TAR, a fronte dei molti
ricorsi in piedi, si sta informando presso le Amministrazioni della
differenza tra le cifre dovute e quelle corrisposte. D) Infine il Fondo di
Previdenza, circa 1.300.000 lire procapite, per ogni anno lavorativo, un fondo
di 1500 miliardi, su cui, se non si provvede adeguatamente, perderemo ogni
diritto nel momento della stipula del prossimo contratto. Che fare? Per gli
interessi monetari, dopo la vittoria del ricorso alla Corte Costituzionale,
stiamo inviando al ministro Tremonti una lettera in cui lo diffidiamo dal
perdere ulteriore tempo e a corrispondere il dovuto agli aventi diritto. Per
la RIA, dopo aver promosso i ricorsi in materia ci siamo costituiti parte in
causa nel ricorso in attesa di discussione alla Corte Costituzionale. Per
quanto riguarda la perequazione, dopo i ricorsi proposti diversi anni fa,
stiamo attentamente seguendo le mosse del TAR pronti rilanciare la
questione sia giuridicamente che contrattualmente. Sul Fondo di
Previdenza, dopo aver raccolto migliaia di firme di colleghi che
richiedevano la liquidazione del Fondo, stiamo preparando una richiesta
d’incontro per l’immediata risoluzione del problema. Parliamo di importi
che superano dalle 500 alle 3.000 volte quelli dei rinnovi contrattuali,
dell’equivalente di oltre 10 anni di salario accessorio. Oggi c’è chi
chiede 60.000 lire di aumento mensile, contro le 8/10 mila proposte in
finanziaria, oppure concentra la vertenzialità sindacale verso le 100.000
lire in più o meno del salario accessorio. Scordandosi dei circa 40
milioni arretrati. Questo appare un metodo raffinato per non disturbare troppo
il manovratore e salvarsi la faccia.
Demanio: ad
essere manager così sono capaci tutti!
1600
dipendenti. L’Agenzia del Demanio ha cominciato con il cercare di
chiudere le sedi, poi ha iniziato a classificarle con piglio manageriale. Poi
ha introdotto incredibili sistemi di valutazione per i dirigenti e per i
livellati (SVAD e SVAL). La gestione
manageriale dell'agenzia ha variato enormemente il rapporto dirigenza/lavoratori.
Infatti, nello Statuto dell'Agenzia del Demanio è chiaramente (e, a
questo punto, pare ironicamente) scritto che i dipendenti sono la risorsa
principale di ogni impresa e la loro soddisfazione è fondamentale
affinché possano raggiungere livelli di eccellenza nel lavoro. Questo
primo anno di attività è ad un passo dal concludersi ed il "miglioramento"
delle condizioni lavorative inizia a farsi sentire: dal punto di vista
organizzativo, come dicevamo prima, ma anche da quello economico. L'Agenzia
del Demanio è l'unica che, ad oggi, non solo non ha ancora stabilito i
criteri di ripartizione dei fondi F.U.A. ma, soprattutto, non ha ancora comunicato
nè quanto è affluito nel capitolo apposito come quota fissa e di
convenzione con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, nè quanto riguarda
le economie di bilancio. A rendere ancora più chiara la situazione,
occorre ricordare che il 30% del F.U.A. con l'accordo del luglio scorso
era stato destinato ai progetti sperimentali (strategici) il cui costo,
non avendo avuto mai inizio, sarebbe dovuto rientrare nella somma da destinare
alla ripartizione equa tra tutto il personale. Inoltre, la tanto decantata
trasparenza imporrebbe, oltre che la comunicazione alle OO.SS. delle
disponibilità economiche, anche la comunicazione delle spese sostenute
per le "consulenze manageriali esterne"... se poi a questo
sommiamo il fatto che, non distribuendo tali somme, le stesse possono
essere utilizzate poi l'anno successivo, riusciamo anche a comprenderne il
gioco. E’ chiaro che i nostri manager ritengono più utile utilizzare i
fondi, piuttosto che per pagare il personale, magari sotto forma di 14^
mensilità, per retribuire le consulenze esterne. Tanto, a seguito del
processo di cartolarizzazione degli immobili, varato dall’attuale
governo, si sta concretizzando il passaggio in blocco dei beni immobiliari
pubblici a società di gestione esterne. Chissà se in queste società
troveremo domani alcuni degli attuali consulenti della smantellanda Agenzia?
Centri
di Servizio: si chiude!
L’Amministrazione
ha ufficializzato ciò di cui si parlava da tempo, consegnando una bozza
sulla chiusura dei Centri di Servizio. Alcune sedi saranno “riciclate”,
altre chiuse definitivamente entro il 30 giugno 2002. Il testo completo è
stato inviato ai Centri di Servizio, ed è pubblicato sul nostro sito
internet (www.rdbfinanze.too.it). Stiamo attendendo le considerazioni in
materia delle nostre strutture anche se fin da subito possiamo confermare il
giudizio negativo che da mesi diamo su un’Amministrazione che non si fa
scrupolo, dopo aver deciso che alcune lavorazioni, ritenute essenziali fino
a non più di quattro anni fa, sono divenute superflue, di sopprimerle, in
alcuni casi, come per Bari, in barba a qualsiasi logica di gestione del
personale e dei rapporti con l’utenza. Il nodo della questione è che
dalla soppressione dei Centri di Servizio, potrebbe partire, con
l’individuazione delle sedi carenti un processo pericoloso che riporta la
questione delle piante organiche a livello locale, subordinandola esclusivamente
a valutazioni tecnico-numeriche sulla base delle quali il personale è
“solo” un elemento della produzione. Le Agenzie sono, soprattutto,
questo. La trasformazione di ogni ragionamento da politico-generale a
tecnico-numerico. Il risultato è che diviene sempre più difficile fare
scelte che tutelano veramente il personale pur se, talvolta, poco
produttive. Il posto pubblico era anche questo. Un modo che aveva lo Stato di
ridistribuire il reddito. Aver rinunciato a questo è stata una sconfitta
sindacale enorme che, incredibilmente, qualcuno continua a cercare di
spacciare per una grossa vittoria. La truffa è completa. Presso le Direzioni
Regionali (soggetto inesistente sotto il piano contrattuale) si individuano
le sedi carenti dividendole in più fasce. La carota è la distribuzione
di fondi, circa 10 miliardi lordi, prelevati dal Fondo Unico, e quindi
giuridicamente, di tutti, per coloro che accetteranno il trasferimento
verso le sedi carenti. Incredibilmente, ancora oggi non si sa ancora come
questi fondi saranno distribuiti sul territorio nazionale, anche se
sappiamo che l’Agenzia tenderebbe a non stanziare neppure una lira per le regioni
centro-meridionali, dove non vuole far andare nessuno, salvo, forse, qualche
raccomandato che continua, non si sa come, a sfuggire alla maglia manageriale
…
Territorio: il
decentramento procede, in ordine sparso
Seppure in via
cosiddetta sperimentale, si moltiplicano le sedi in cui il personale si
sposta agli Enti Locali, un processo che, innanzitutto come cittadini, non
condividiamo, perché non avvicina affatto il servizio ai cittadini, come
afferma la propaganda di regime, ma solo la politica (i politici) al
servizio, con quello che ne può conseguire in termini di omogeneità dei
diritti (o peggio).
A questo si
aggiunga che questo processo si svolge spesso senza che i dipendenti siano
messi nella condizione di conoscere il passo successivo. Catasti che
passano quasi interamente a Comuni, come dovrebbe accadere a Reggio Emilia,
pezzi di catasto che vanno a costituire i poli, come a San Giovanni in
Persiceto, accelerazioni improvvise e imprecisate, come a Massa o Cuneo,
dipendenti che istruiscono i comunali come a Catania… e potremmo citare
molti esempi. La via sperimentale sta creando uno scacchiere di ipotesi in
cui lo spezzatino dell’Agenzia del Territorio sembra l’unico risultato
ad oggi visibile. Un’Agenzia che sembra stia lavorando solo per la sua
chiusura… con gli ex LSU che dovrebbero servire a smaltire l’arretrato
residuo, che, ovviamente, gli enti locali non hanno alcuna intenzione di
fare propri. L’andamento della procedura, apparentemente schizofrenico, ha
invece una logica distruttiva che diviene inattaccabile in funzione della sua
non classificabilità. Diviene quindi essenziale fare il punto della
situazione cercando di mettere assieme i pezzi. Da qui l’appello a tutti i
nostri delegati RSU, e non, e comunque a tutti coloro che hanno
l’interesse a capirci qualcosa, di fornirci elementi da cui sia possibile
effettuare una sintesi e quindi costruire assieme una piattaforma
rivendicativa sui criteri di movimentazione e sul mantenimento dei diritti.
In poche parole, chiediamo a tutti di scriverci per raccontarci cosa sta
accadendo presso il proprio ufficio. Fax 06233200763 oppure 02700555582,
email ilsaccobucato@libero.it.
Entrate: un
fisco giusto per tutti
Abbiamo già,
subito prima delle elezioni RSU, sollecitati dalla nostra struttura delle
Marche, varato l’iniziativa “Un Fisco giusto per tutti” nel quale
abbiamo invitato i colleghi a raccogliere firme, proprie e dei contribuenti,
per la richiesta di maggiori investimenti, incremento di personale,
uffici, formazione nonché riconoscimento delle professionalità espresse.
Alcuni uffici hanno già cominciato la raccolta, altre hanno cozzato con
dirigenze che nell’ansia di bloccare ogni iniziativa sindacale non paiono
aver capito che tale iniziativa è utile anche alla dirigenza che con la
riduzione degli investimenti, degli uffici e l’approvazione del disegno di
legge sulla vice-dirigenza sono altrettanto, se non più, a rischio dei
dipendenti livellati. In taluni casi, siamo certi, l’iniziativa si è
perduta tra la montagna di carta di propaganda giunta nei giorni antecedenti
alle elezioni. Ma qui di propaganda non si tratta. Si tratta di diritti. I
modelli su cui raccogliere le firme sono scaricabili dal nostro sito internet
(www.rdbfinanze.too.it) e, naturalmente, richiedibili alla nostra redazione.
L’iniziativa ha obiettivo di modificare l’atteggiamento dell’Agenzia
delle Entrate prima della prossima “ondata” di avvisi bonari (a
Febbraio). L’obiettivo è quello di raccogliere più firme possibili,
meglio se con iniziative che consentano, anche localmente, la visibilità
del problema, di dipendenti e cittadini-utenti, per poi farle pervenire a
stampa, parlamentari e governo. Il 21 dicembre, p.v., a tal proposito, a
Firenze, in concomitanza con l’inaugurazione degli Uffici Unici, abbiamo
previsto un sit-in con assemblea pubblica e raccolta delle firme. Invitiamo
tutti i nostri delegati neo-eletti alle elezioni RSU a farsi carico della
raccolta delle firme nel proprio posto di lavoro.
Entrate:
ennesima contraddizione di un sistema fallimentare (ad hoc)
Bandi concorso per
passaggio tra le aree a C1. Possono parteciparvi, oltre ai laureati, anche i
B1 che abbiano maturato 9 anni di anzianità al 1 gennaio 2001… anche
qui, per pochi mesi, si tagliano fuori i, non laureati, che dall’A1
erano transitati a B1 con il vecchio concorso a titoli… Lo sappiamo,
ribadire il loro diritto, il diritto di colleghi che hanno svolto mansioni
superiori per anni a partecipare ad una prova concorsuale, ribadire la
possibilità di liberare “posti” in B1 per il vero svuotamento
dell’Area A, è operazione difficile perché riduce la possibilità per
altri di passare di livello. Ma è proprio questo l’obiettivo che tali
procedure si propongono. Quello di metterci uno contro l’altro. I laureati
contro i non laureati, i B2 contro i B1, i B3 contro i B2… e così via.
Nessun diritto certo, ma solo una carneficina in cui i gladiatori (noi) sono
buttati nell’arena a scannarsi tra di loro… Non è un caso che, nonostante
i proclami, ancora nulla sia stato stabilito per i passaggi interni all’area
B… si sta aspettando chi rimane in piedi…
Lottare per il
meno peggio
Si parla tanto di
unità sindacale. Le Rappresentanze sindacali di base sono disponibili ad
essere unitarie con chiunque, ma su contenuti ben precisi. Ci troviamo oggi
di fronte a soggetti sindacali che dichiarano uno sciopero generale (14
dicembre p.v.) nel Pubblico Impiego per costringere il Governo a
rispettare i vincoli dell’Accordo del Luglio ’93 (quello che ha tagliato i
salari, introdotto le flessibilità ecc.) puntando a strappare qualche
miseria economica, per rilanciare la concertazione, per aprire un tavolo
di confronto sulle privatizzazioni, le esternalizzazioni, l’outsourcing
previsti dalla “Finanziaria di guerra”. Uno sciopero, insomma, per
riaffermare il proprio ruolo e far rivivere la concertazione e non per
chiedere vera distribuzione della ricchezza, la fine di ogni processo di
privatizzazione e di smantellamento dello stato sociale. Vorremmo essere
chiari, soprattutto con i nostri delegati. Noi non faremo lo sciopero del
14 dicembre. Noi abbiamo organizzato una manifestazione a Milano il 15
dicembre contro l’attacco all’articolo 18 (libertà di licenziamento).
Perché? In questi nove anni, dal 1992 (ma anche da prima) il sindacato
italiano non ha rivendicato alcun ribaltamento dei processi di accumulo della
ricchezza. Anzi, con la concertazione ha, di fatto, assecondato
l’arricchimento di pochi, raccogliendo le briciole che cadevano dal
tavolo dei potenti. Un ruolo che forse poteva trovare qualche giustificazione
nella “prima repubblica” nella quale il ruolo di mediazione politica
(e quello sindacale, braccio di alcuni soggetti politici nel mondo del lavoro)
aveva sull’economia di questo paese. Ma rivelatosi suicida perché varato
proprio in concomitanza con la “tangentopoli” che ha fatto fuori la
politica e l’ha sostituita con l’imprenditoria. Non è un caso che chi ci
governa oggi ribalta questa analisi dichiarandosi vittima di tangentopoli.
Strane vittime che prima erano più poveri e, comunque, obbligati a dare le
mazzette, e oggi sono molto più ricchi e gestiscono direttamente il governo
del paese. La concertazione, oltre ad impoverirci, ha assecondato questo
processo la cui logica conseguenza è l’inutilità dei soggetti sindacali (e
dei loro partiti di riferimento) che l’hanno praticata. Uno dei primi atti
del Ministro Maroni, è stato sottolineare che la concertazione è
finita e che va sostituita dal dialogo (formula indistinta che significa
parliamone ma poi decidiamo noi). La concertazione è stata il meno peggio
che ha preparato al peggio. Oggi fare uno sciopero per rivendicare il
ritorno al meno peggio, significa o non aver capito nulla o cercare di
strumentalizzare lavoratrici o lavoratori solo per poche, personali, fette
di potere. Significa indebolire l’uso di uno strumento di lotta, significa
indebolire lavoratrici e lavoratori.
Le Rappresentanze
sindacali di base non solo non cercano l’unità su questi contenuti ma
vogliono distinguersi nettamente da chi li persegue.
Il sindacalismo
di base sbaglierebbe e tradirebbe il suo ruolo se, soprattutto in questo
momento, con comportamenti ambigui, alimentasse dubbi e confusioni.
Sul Corriere
della sera di sabato 1 dicembre il Presidente del Consiglio afferma
“state tranquilli, lo sciopero sull’articolo 18 ha un valore puramente
simbolico e avrà un impatto limitato. I sindacati erano obbligati a farlo.
La situazione è sotto controllo, il dialogo non è compromesso. Noi andiamo
avanti con la delega, intanto vediamo se le parti sociali trovano un
accordo.” Chi ha orecchie per intendere…