Il sacco bucato.n.7/2002
17 maggio 2002
SPECIALE RIQUALIFICAZIONE
SOMMARIO
1. Il frutto marcio
2. Di chi è la colpa?
3. E ora che succede?
4. Il testo della sentenza n. 194/2002 della Corte
Costituzionale
1.
Il frutto marcio
La sentenza 194/2002 della Corte
Costituzionale tronca con cesoie “tecniche” il frutto deforme della
concertazione tra Amministrazione finanziaria e sindacati confederali. La
prima analisi fatta dallo studio legale delle RdB conferma la gravità ed
estensione della pronuncia che non sembra
ammettere eccezioni per questa o quella qualifica funzionale. Serie
preoccupazioni si possono addirittura esprimere nei confronti di futuri ricorsi
contro le procedure di riqualificazione negli altri Ministeri, dato l’impianto
assolutamente generale della sentenza ieri depositata. Inoltre, un passo delle
“considerazioni in diritto” taglia verosimilmente la strada ad ulteriori
ingegnerie concorsuali su larga scala, quando afferma che il passaggio ad una
fascia funzionale superiore costituisce “accesso ad un nuovo posto di lavoro”,
soggetto dunque alle regole del pubblico concorso: una vera e propria condanna
dei concorsi interni e, certamente, un
ostacolo insormontabile al recupero delle
progressioni di carriera. Un’ulteriore insidia potrebbe poi celarsi
nell’impianto concettuale del dispositivo: la forte sottolineatura del
carattere pubblicistico del lavoro finanziario, a dispetto delle notevoli
trasformazioni giuridico-contrattuali da esso recentemente subito, potrebbe
rafforzare la tentazione, già così forte in questa Amministrazione, di
accentuare il processo di privatizzazione in atto, presentandolo come
indispensabile veicolo della riqualificazione. Come magra consolazione per
il colpo di maglio subito dalle speranze di più di diecimila Lavoratori, non
sembra che sarà possibile all’Amministrazione un recupero delle differenze
economiche fin qui corrisposte per gli avanzamenti sottoscritti: si dovrebbe
ricadere in realtà nel dettato contrattuale che prevede comunque il loro
pagamento, quando le mansioni superiori siano state riconosciute per un periodo
superiore ai tre mesi. Resta a questo punto aperta
la sola strada del riconoscimento delle mansioni già
svolte, superiori alle qualifiche funzionali per la quasi totalità dei
Lavoratori finanziari. Ciò era chiarissimo già nella sentenza con cui il TAR
del Lazio rinviava la questione alla Corte Costituzionale. E’ doloroso, ma
istruttivo, ricordare che tutto ciò lo avevamo previsto: la battaglia contro il mansionismo, da sempre bandiera d’onore
delle RdB, non era una risoluzione estremistica, ma l’unica e perciò doverosa
forma di lotta per difendere i diritti e la stessa dignità dei Lavoratori,
illusi e derubati dagli accordi concertativi.
2. Di chi è la colpa?
Come capita in queste occasioni, ora tutti si
alzeranno e, pur di non ammettere le proprie responsabilità, cercheranno di
addossare la colpa a qualcun altro in un gioco al massacro. Il gioco è
già cominciato, con la UIL che chiede i tavoli separati dalla FLP, rea di avere
come affiliata la DirPubblica (all’epoca promotrice del ricorso), oppure con
CGIL-CISL e UIL che “scaricano” il SALFI proclamando, in proprio, uno
sciopero per il 3 giugno… Proprio questo sciopero, ammesso che si farà,
risulta la peggiore strumentalizzazione di un problema da parte di chi
ha, coscientemente, contribuito a costruirlo. Uno sciopero contro chi?
Contro il Governo? Contro la Corte Costituzionale? Contro la Costituzione? Uno
sciopero di chi? Dei circa 10.000 vincitori contro i restanti 50.000
dipendenti? Un ulteriore divisione proprio nel momento in cui esiste necessità
di maggiore coesione? Tutto questo serve a mascherare. A non ammettere
che la scelta di legare le progressioni di carriera ad un meccanismo
meritocratico e ad un sistema di profili professionali e di organizzazione del
lavoro, di fatto, inesistenti nella realtà è stata una scelta sbagliata.
La meritocrazia e le procedure paraconcorsuali, oltre a mettere nelle mani dei
dirigenti il diritto alla carriera dei dipendenti, sono, come chiunque può
leggere, la base su cui la Corte Costituzionale fonda il suo giudizio. Non
abbiamo a che fare con deficienti, ma con persone che sapevano ciò che
facevano e che sapevano che saremmo giunti a questo punto. Perseverare oggi
su quella strada e non voler comprendere che, come suggerito dalla stessa
sentenza, la soluzione passa per un’autocritica, per una completa
inversione di tendenza e il riconoscimento delle mansioni superiori è
imperdonabile. Continuare a concertare indennità in luogo di riconoscimenti
professionali ha condotto alla situazione attuale (pensiamo ai
front-office e ai call-center, ad esempio). Oggi, ognuno – e quando diciamo
ognuno, intendiamo proprio tutti - è inquadrato in un profilo professionale a
cui, contrattualmente, corrispondono mansioni che non trovano alcun riscontro
nella pratica lavorativa quotidiana. L’unica soluzione sta nel richiedere
alle Agenzie una certificazione generale di questa realtà inconfutabile. Il
passaggio di livello di tutti diverrà così l’inattaccabile riconoscimento
– seppure in ritardo – per quello che abbiamo sempre fatto.
Neo
3.
E ora che succede?
La sentenza è chiara, non lascia scampo. La procedura
detta di “riqualificazione” si basa su norme costituzionalmente illegittime.
Legalmente non si può fare nulla. La Corte Costituzionale (il massimo organo
giuridico del paese – e per definizione, politicamente neutrale) si è
pronunciata due volte in tal senso. Metterci un’altra pezza, magari, con nuovi
accordi che riducano ulteriormente i posti a concorso (in origine erano 24.000,
oggi sono meno di 10.000) servirebbe a poco, perché, è chiaro, se il
meccanismo concorsuale resta in piedi – anche per un solo posto - resta
incostituzionale. E’ la sconfitta di un sistema – quello
concorsual-meritocratico – che, crollando, ha sepolto con se i diritti di
migliaia di lavoratrici e lavoratori, che, purtroppo, ci avevano creduto.
Quindi la riqualificazione salta, - e chi
l’ha fortemente voluta in questo modo, dovrebbe avere il coraggio di dirlo a
tutti - ma c’è di peggio. I passaggi tra le aree e nelle aree sono basati
sullo stesso criterio… già l’ordinanza del TAR (18 ottobre 2000) richiamata
dalla sentenza, diceva chiaramente che in caso di incostituzionalità della
procedura di riqualificazione, per analogia sarebbero state incostituzionali
anche i passaggi tra le aree e nelle aree. Una debacle su tutta la linea. Un
contratto, da noi contestato, che salta proprio sulla questione del diritto alla
carriera, che aveva fatto passare in second’ordine le questioni degli altri
diritti, a partire dal diritto al salario. Oggi lavoratrici e lavoratori non
possono più credere alle soluzioni concertative proposte dal pifferaio magico
di turno.
La sentenza della Corte Costituzionale segna uno spartiacque tra coloro che vogliono credere a tutto e coloro che vogliono lottare per i propri diritti. Noi ci rivolgiamo a questi ultimi. E’ giunto il momento di dire no a tutti gli sfruttamenti. Non sono le indennità che ci ripagano della professionalità profusa. NON ESISTONO SCORCIATOIE. La soluzione passa dal riconoscimento delle mansioni superiori, quindi, dobbiamo rifiutarci di svolgere incarichi che non siano strettamente connessi al nostro inquadramento professionale ed economico.
IL BLOCCO DELLE MANSIONI e la conseguente PARALISI
DEGLI UFFICI è divenuta l’unica strada praticabile. L’obiettivo è il riconoscimento
generalizzato delle mansioni superiori svolte e l’automatico inquadramento
economico in posizione più congrua all’attività svolta.
4.
Il testo della sentenza n.194/2002 della Corte Costituzionale
SENTENZA N. 194 - ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Massimo
VARI
presidente
-
Riccardo
CHIEPPA
Giudice
-
Gustavo
ZAGREBELSKY
"
-
Valerio
ONIDA
"
-
Carlo
MEZZANOTTE
"
-
Guido
NEPPI MODONA
"
-
Piero Alberto
CAPOTOSTI
"
-
Annibale
MARINI
"
-
Franco
BILE
"
-
Giovanni Maria
FLICK
"
-
Francesco
AMIRANTE
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni
in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), promosso
con ordinanza emessa il 18 ottobre 2000 dal Tribunale amministrativo regionale
del Lazio sui ricorsi riuniti proposti dalla Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica)
contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altre, iscritta al n. 451 del
registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale,
dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione della Dirstat-Finanze (ora
Dirpubblica) nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 12 marzo 2002 il Giudice relatore
Piero Alberto Capotosti;
uditi l’avvocato Michele Lioi per Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica)
e l’Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. ¾ Il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, con ordinanza del 18 ottobre 2000, depositata il 7 febbraio
2001, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della
legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione,
razionalizzazione e federalismo fiscale), in riferimento agli artt. 3, 51 e 97
della Costituzione, nonché, implicitamente, all’art. 136 della
Costituzione.
2. ¾ La questione è stata sollevata
nel corso del giudizio avente ad oggetto due ricorsi proposti dalla
Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica), in persona del legale rappresentante pro
tempore, il quale ha agito anche in proprio, aventi ad oggetto
l’annullamento di alcuni atti -decreti del Ministero delle finanze e decreti
direttoriali- concernenti le procedure di riqualificazione per il personale del
Ministero delle finanze ai sensi dell’art. 3, commi 205, 206 e 207, della
legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica).
2.1. ¾ Il Tar, in linea preliminare, dopo
avere affermato la propria giurisdizione, espone che i ricorrenti eccepiscono
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 205, 206 e 207 della
legge 28 dicembre 1995, n. 549, nel testo modificato dall’art. 22 della legge
n. 133 del 1999, nella parte in cui sono state sostanzialmente confermate le
procedure selettive previste dal testo originario dall’art. 3, comma 206
lettera b), della legge n. 549 del
1995 ed i corsi di riqualificazione per il personale del Ministero delle
finanze, con riserva del settanta per cento dei posti vacanti al personale in
servizio alla data del 31 dicembre 1998, realizzando in tal modo una cooptazione
verso l’alto di questi ultimi dipendenti, nonostante non abbiano svolto,
neppure di fatto, mansioni superiori.
Il giudice a quo deduce che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del
1999, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 205, 206 e 207
dell’art. 3 della legge n. 549 del 1995, nella parte in cui «prevedevano la
sostituzione del concorso pubblico con procedure selettive interne, in assenza
di esigenze di rilevanza costituzionale che consentissero la deroga alla
regola del concorso pubblico». L’art. 22 della legge n. 133 del 1999 ha
modificato queste ultime norme, stabilendo che, con le procedure selettive da
esse previste, può «essere coperta unicamente una aliquota dei posti vacanti
determinata nella misura del 70 % nelle qualifiche interessate dalle procedure
medesime».
2.2. ¾ Il Tar deduce che l’art. 22 della legge n. 133 del 1999 si
porrebbe in contrasto con il principio secondo il quale la regola del pubblico
concorso per l’assunzione del personale alle dipendenze della pubblica
amministrazione sarebbe derogabile esclusivamente entro i limiti richiesti
dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione, ovvero
altri principi di rango costituzionale. A suo avviso, la sentenza della Corte
costituzionale n. 1 del 1999 avrebbe infatti riferito la regola del concorso
anche all’accesso ad una qualifica funzionale superiore, in quanto
quest’ultimo costituirebbe una forma di reclutamento, che richiede un
selettivo accertamento delle attitudini non restringibile ai soli dipendenti
dell’amministrazione.
Secondo il rimettente, l’art. 22
della legge n. 133 del 1999 «non fa altro che confermare le procedure già
previste dalla precedente normativa di cui alla legge n. 549/95» e, quindi, «nella
sostanza viola il giudicato costituzionale confermando disposizioni dichiarate
illegittime».
Inoltre, «la modifica legislativa»,
prevedendo una procedura selettiva interna e l’attribuzione a soggetti
estranei all’amministrazione soltanto del 30 % dei posti disponibili, si
porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di concorsualità (art. 51
Cost), di parità di trattamento (art. 3 Cost.) e di buon andamento ed
imparzialità dell’amministrazione, garantiti dalla scelta dei più meritevoli
(art. 97 Cost.).
Infine, la norma, stabilendo che i
dipendenti dell’amministrazione finanziaria possono partecipare ai corsi di
riqualificazione anche qualora non abbiano svolto, neppure di fatto, mansioni
superiori, violerebbe gli artt. 3, 51 e 97 Cost., poiché realizzerebbe una
ingiustificata disparità di trattamento in danno di quanti non lavorano già
alle dipendenze della p.a., permettendo l’accesso alla qualifica superiore da
parte dei dipendenti i quali non solo non hanno svolto le relative mansioni, ma
sono anche privi del titolo di studio per essa richiesto.
3. ¾ Nel giudizio è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente
infondata.
Secondo la difesa erariale le
procedure di riqualificazione in esame consistono in una prova scritta, il cui
superamento è condizione per l’ammissione al corso di riqualificazione, al
termine del quale è prevista una prova teorico-pratica, allo scopo di accertare
il possesso da parte del candidato della professionalità richiesta per la
qualifica di riferimento. I criteri informativi delle prove e delle modalità di
stesura dei questionari oggetto delle prove selettive sono stati elaborati da un
gruppo di studio nominato con decreto ministeriale; le materie dei corsi e gli
specifici percorsi formativi, in riferimento ai diversi profili professionali,
sono stati anch’essi stabiliti con decreto ministeriale, sulla scorta delle
proposte formulate da un apposito gruppo di lavoro. Le procedure di
riqualificazione, a suo avviso, non determinerebbero una automatica progressione
ad una qualifica superiore, ma realizzerebbero una adeguata selezione, assicurando
la funzionalità degli uffici, la crescita personale e professionale dei
cittadini nell’ambito del luogo di lavoro e la partecipazione dei lavoratori
all’organizzazione ed al progresso della società.
L’interveniente deduce, infine,
che la deroga alla regola del pubblico concorso sarebbe giustificata e che
sarebbe altresì ragionevole la previsione in virtù della quale il possesso di
una determinata anzianità nella qualifica immediatamente inferiore a quella
oggetto del concorso costituisce un requisito alternativo rispetto al titolo di
studio.
4. ¾ Nel giudizio innanzi alla Corte si
è costituita la Dirpubblica (già Dirstat-Finanze), facendo proprie le
argomentazioni svolte dal Tar e chiedendo l’accoglimento della questione.
Nelle memorie depositate in
prossimità dell’udienza pubblica la parte insiste nel sostenere che la norma
impugnata riprodurrebbe quella già dichiarata costituzionalmente illegittima
dalla Corte e che l’ammissione alla procedura di riqualificazione, anche in
mancanza del titolo di studio richiesto per l’accesso alla qualifica
superiore, purché il dipendente vanti una certa anzianità di servizio nella
qualifica inferiore, sarebbe irragionevole, in quanto quest’ultimo elemento
sarebbe inidoneo a dimostrare il possesso della professionalità necessaria per
l’attribuzione della qualifica più elevata. Inoltre, a suo avviso, la riserva
del 70 % dei posti in favore dei dipendenti realizzerebbe una ingiustificata
disparità di trattamento rispetto agli aspiranti che possono accedervi
esclusivamente mediante una ordinaria procedura concorsuale.
5. ¾ All’udienza pubblica
l’Avvocatura generale dello Stato e la parte costituita hanno insistito per
l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1 ¾ La questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in
epigrafe ha ad oggetto l'art. 22 della legge 13 maggio 1999, n. 133
(Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo
fiscale), il quale -con il comma 1 lettere a),
b) e c)- ha modificato i commi
205, 206 e 207 dell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), che disciplinano la copertura del 70%
dei posti disponibili nelle dotazioni organiche dell'amministrazione finanziaria
per i livelli dal quinto al nono, mediante apposite procedure di
riqualificazione riservate al personale appartenente alle qualifiche funzionali
inferiori, e con il comma 2 ha fatto salvi gli atti e i procedimenti già
adottati.
Secondo il giudice rimettente, la
norma impugnata "non fa altro che confermare le procedure già previste
dalla precedente normativa di cui alla legge n. 549 del 1995", dichiarata
illegittima da questa Corte con la sentenza n. 1 del 1999, cosicché la stessa
norma, in quanto riproduttiva di disposizioni già dichiarate costituzionalmente
illegittime, "nella sostanza viola il giudicato costituzionale".
Inoltre "la modifica legislativa" censurata, prevedendo una procedura
selettiva interna per il conferimento di una qualifica funzionale superiore e
stabilendo che soltanto il 30% dei posti disponibili possono essere attribuiti a
coloro che non sono già dipendenti dell'amministrazione finanziaria,
derogherebbe ingiustificatamente alla regola del pubblico concorso, che
riguarderebbe anche la fattispecie in esame, ponendosi così in contrasto con i
principi costituzionali della parità di trattamento (art. 3 della Costituzione)
e di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97
della Costituzione).
Infine la norma censurata,
disponendo che i dipendenti possono partecipare ai corsi di riqualificazione,
anche se non hanno svolto, neppure di fatto, mansioni superiori, violerebbe,
sotto altro profilo, gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, ponendo in essere
una ingiustificata disparità di trattamento in danno di quanti non lavorano già
alle dipendenze dell'amministrazione, consentendo inoltre l'accesso alla
qualifica superiore da parte di dipendenti i quali non solo non abbiano svolto
le relative mansioni, ma siano anche privi del titolo di studio richiesto per la
qualifica stessa.
2. ¾ In via preliminare va precisato che il thema decidendum deve essere propriamente individuato -in base alle
puntualizzazioni contenute nella motivazione dell'ordinanza di rimessione nella
quale si dichiarano non manifestamente infondate le "dedotte questioni di
legittimità costituzionale" relative all'art. 3, commi 205, 206 e 207
della legge n. 549 del 1995- nella disciplina dei corsi di riqualificazione
recata appunto dal suddetto art. 3, commi 205, 206 e 207 (modificato
quest’ultimo, ma in modo non rilevante, dall’art. 88 della legge 21 novembre
2000, n. 342) della stessa legge, così come risulta dopo la "modifica
legislativa" introdotta dall'art. 22 della legge n. 133 del 1999. Ed è
pertanto sul testo così risultante, nonché sul comma 2 del citato art. 22,
che va condotto il presente scrutinio di legittimità costituzionale.
3. ¾ Nel merito, la questione è fondata.
Si deve innanzi tutto osservare che
molteplici sono le modifiche introdotte dall’art. 22 della legge n. 133 del
1999 alla disciplina in esame; in particolare si segnalano la riduzione dei
posti riservati ai dipendenti dell'amministrazione finanziaria (art. 3, comma
205), l'esclusione di una progressione per
saltum e l'impossibilità di esercitare, subito dopo l'ammissione al corso e
sia pure in via provvisoria, le funzioni connesse alla qualifica superiore (art.
3, comma 207). Tali modifiche escludono pertanto, per il loro contenuto
innovatore ed anche per l'intento dichiarato nel corso dei lavori preparatori
della legge di recepire i principi stabiliti dalla citata sentenza n. 1 del
1999, che la disciplina denunciata possa essere considerata confermativa delle
precedenti disposizioni dichiarate illegittime, superandosi così la prospettata
censura di violazione del giudicato costituzionale. Ma tuttavia non valgono ad
evitare gli altri profili di censura incentrati sulla violazione degli artt. 3,
51 e 97 della Costituzione.
Nella disciplina delle procedure di
riqualificazione in esame permangono ancora, nonostante le modificazioni
introdotte, alcune lesioni dei principi costituzionali in materia di organizzazione
dei pubblici uffici. In particolare va ricordato che, secondo la consolidata
giurisprudenza costituzionale, il passaggio ad una fascia funzionale superiore
comporta "l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni
più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola
del pubblico concorso" (cfr. per tutte: sentenza n. 320 del 1997, sentenza
n. 1 del 1999), in quanto proprio questo metodo offre le migliori garanzie di
selezione dei soggetti più capaci. Il pubblico concorso è altresì un
meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell'amministrazione, il
quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano
caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a
parteciparvi; forme che possono considerarsi non irragionevoli solo in presenza
di particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia
del buon andamento dell’amministrazione.
L'art. 22, comma 1 lettera a),
della legge n. 133 del 1999, nel riformulare il comma 205 dell'art. 3 della
legge n. 549 del 1995, non ha però reso la norma conforme a questi principi. Ed
infatti, anche se ha escluso che la totalità dei posti vacanti nelle dotazioni
organiche delle varie qualifiche prese in considerazione sia attribuita
all'esito di corsi di formazione professionale, ai quali sono abilitati ad
accedere soltanto i dipendenti dell'amministrazione, riserva tuttavia ancora
ad essi la totalità dei posti messi a concorso, pari a gran parte dei posti
disponibili, per di più prevedendo una quota riservata che appare
incongruamente elevata, così da realizzare una duplice, sostanziale elusione
dei principi enunciati. Né, oltre tutto, all’epoca risultava bandito il
concorso pubblico per la residua parte dei posti, mentre è noto che il modello
concorsuale richiede che la selezione avvenga con criteri tali “da prevedere
e consentire la partecipazione anche agli estranei, assicurando così il reclutamento
dei migliori", e a tale modello si deve ricorrere anche per scongiurare
"gli effetti distorsivi" che il criterio dei concorsi interni può
produrre (sentenza n. 313 del 1994), attraverso forme di surrettizia
reintroduzione dell'ormai superato sistema delle carriere, in contrasto con il
canone del buon andamento dell'amministrazione (sentenza n. 333 del 1993).
La previsione, nella disciplina
censurata, non già di un concorso pubblico con riserva dei posti, bensì di un
concorso "interno", riservato ai dipendenti dell'amministrazione per
una percentuale dei posti disponibili particolarmente elevata -e per di più
incongrua in quanto stabilita in mancanza di giustificazioni diverse da quelle
già valutate negativamente nella sentenza n. 1 del 1999- appare pertanto
irragionevole e si pone in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della
Costituzione.
3.1. ¾ Neppure le altre
modifiche introdotte dall'art. 22 della legge n. 133 del 1999 alla disciplina
recata dal citato art. 3 della legge n. 549 del 1995 riescono a superare le
ulteriori denunce di illegittimità costituzionale prospettate nell'ordinanza di
rimessione.
A questo proposito, va innanzi
tutto osservato che, sebbene sia stata esclusa la previsione di una progressione
per saltum, prima prevista per una
delle qualifiche, risulta ancora attribuita al criterio dell'anzianità una
funzione già censurata nella sentenza n. 1 del 1999, in quanto "del
tutto abnorme". In realtà è proprio sul criterio dell'anzianità che sono
fondate sia la riserva ai dipendenti della indicata percentuale dei posti
disponibili, sia l'ammissibilità del conseguimento della qualifica superiore,
anche in mancanza del titolo di studio prescritto. Ed infatti, dato che non è
stata modificata la censurata genericità
di contenuti della prova scritta di ammissione al corso, quest'ultima non appare
idonea a garantire, di per sé, una seria verifica dei requisiti attitudinali,
nonché ad evitare una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso la
qualifica superiore.
La previsione, inoltre, che le
materie del corso sono fissate con decreto ministeriale (art. 3, comma 206
lettera d) della legge n. 549 del
1995, come modificato dall'art. 22, comma 1 lettera b) della legge n. 133 del 1999) e che all'esito del corso i
candidati sono sottoposti ad una prova di carattere teorico-pratico, soltanto
indicata come "prova d'esame" (art. 3, comma 206 lettera e),
come modificato dall'art. 22, comma 1 lettera b)
della legge n. 133 del 1999), non
consente di superare, in mancanza di ulteriori e più puntuali criteri, il
fondato dubbio già formulato da questa Corte nella citata sentenza n. 1 del
1999 in ordine alla "idoneità di un tale modo di selezione a consentire
una seria verifica della professionalità richiesta" dalle qualifiche
considerate.
In definitiva, il complesso delle
modifiche introdotte dalla norma impugnata non appare adeguato a rendere le
procedure di riqualificazione in esame compatibili con i principi
costituzionali. Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dei commi
205, 206 e 207 -quest'ultima norma in quanto logicamente ed inscindibilmente
connessa con le prime due- dell'art. 3 della legge n. 549 del 1995, così come
modificati dall'art. 22, comma 1 lettere a),
b) e c) della legge n. 133 del
1999. Va altresì dichiarata l'illegittimità costituzionale del comma 2 del
citato art. 22 della medesima legge n. 133 del 1999, in quanto anche esso
logicamente ed inscindibilmente connesso con le norme precedentemente indicate.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 205, 206
e 207 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della
finanza pubblica), come modificato dall'art. 22, comma 1, lettere a),
b) e c) della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di
perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma 2,
della medesima legge 13 maggio 1999, n. 133.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2002.
F.to:
Massimo VARI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2002.
Il Direttore della Cancelleria