Come
nasce lo Statuto dei lavoratori
L’idea
di uno statuto dei lavoratori viene proposta la prima
volta da Giuseppe Di Vittorio durante il terzo
congresso della CGIL nel 1952. Sono gli "anni
duri", quelli della repressione antisindacale in
fabbrica, dei licenziamenti per rappresaglia e dei
reparti confino.
L’idea viene riproposta quindici anni più tardi dal
ministro del lavoro Giacomo Brodolini, che tuttavia
muore pochi mesi più tardi. Il disegno di legge viene
portato avanti dal nuovo ministro del lavoro Carlo
Donat Cattin, sotto la direzione dei lavori di Gino
Giugni. La legge viene approvata dalla maggioranza dal
Parlamento nel maggio del 1970. Il PCI si astiene
dalla votazione, perché pur riconoscendo questo come
un primo passo verso una legislazione che garantisca
le libertà costituzionali nei luoghi di lavoro, ne
lamenta i limiti, primo tra tutti l’esclusione delle
garanzie previste dalla legge per i lavoratori di
imprese con meno di quindici dipendenti.
Il contesto: l’autunno caldo
Lo statuto dei lavoratori è il risultato degli
anni di grande fermento sociale e civile che vanno
sotto il nome di autunno caldo.
Sono gli anni della centralità operaia e della
contestazione giovanile, gli anni dei grandi conflitti
industriali nelle fabbriche del nord, gli anni della
partecipazione, della spontaneità e della radicalità.
Le lotte hanno come principale protagonista
l’operaio massa, il lavoratore dequalificato
impiegato nella produzione taylor-fordista, spesso
immigrato dal sud, la cui rabbia e il cui disagio
sociale si incontra con l’avanguardia operaia che ha
resistito agli anni ’50, grazie a una travagliata
rielaborazione politica e alla capacità di proporre
un coraggioso dibattito interno.
Sono gli anni dell’unità sindacale. Il primo
maggio del 1970, per la prima volta dal 1948, le tre
confederazioni celebrano insieme la festa dei
lavoratori e preparano, dopo decenni di aspri
conflitti, il processo che nel 1972 porterà
all’unificazione organizzativa.
Sono gli anni dei consigli di fabbrica. La
struttura sindacale vive in questi anni un processo di
profonda trasformazione da cui nascono forme dirette
di rappresentanza, ereditate dall’esperienza
dell’Ordine Nuovo e ispirate alla democrazia di base
e alla centralità dell’assemblea nel processo
decisionale.
Il valore dell’articolo 18
La Statuto dei lavoratori garantisce il rispetto
delle libertà costituzionali in fabbrica, promovendo
e sostenendo la piena cittadinanza del sindacato nei
luoghi di lavoro.
L’articolo 18 integra la disciplina prevista dalla
legge 604 del 1966 in materia di licenziamento
individuale. Esso prevede che il giudice, rilevando
l’inefficacia di un licenziamento perché privo di
giusta causa o giustificato motivo possa ordinare al
datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel
posto di lavoro.
Il valore principale dell’articolo 18 è nella sua
funzione di deterrente rispetto all’utilizzo
disinvolto della procedura di licenziamento
individuale da parte dei datori di lavoro. Anche se in
Italia il numero dei licenziamenti individuali
impugnati e conclusi con sentenza di accoglimento
attraverso la reintegra è relativamente scarso, è
evidente che l’abolizione dell’articolo 18,
esporrebbe i lavoratori alla privazione delle tutele
fondamentali e alla minaccia alla dignità personale.
La tutela in materia di licenziamento rappresenta un
principio di emancipazione e un valore decisivo che
riguarda la libertà e la dignità della persona. Esso
regola i rapporti di potere all’interno
dell’impresa e ristabilisce in parte lo squilibrio
tra lavoratori e datori di lavoro. A fronte di
presunti benefici sull’occupazione - mai seriamente
dimostrati né dall’evidenza statistica né dalla
dottrina economica - con l’abolizione
dell’articolo 18 il lavoratore tornerebbe solo e in
posizione di accentuata debolezza di fronte al datore
di lavoro.
Il confronto con il resto d’Europa
La tutela prevista dall’articolo 18 attraverso
il meccanismo della reintegra non è affatto una
anomalia italiana. Nonostante nella maggioranza dei
paesi europei a fronte del licenziamento
ingiustificato viga la prassi del risarcimento,
l’istituto della reintegra come questione di
principio è previsto quasi ovunque.
La
normativa sul licenziamento individuale in Europa
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Procedura
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Entità
dell’indennizzo
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Soglia
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Svezia
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Dopo
un iniziale tentativo di conciliazione
effettuato direttamente tra le parti, il
procedimento è rinviato al giudice che può
ordinare la reintegra.
Il
datore può rifiutarla, ma è obbligato a
pagare un’indennità molto alta.
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Da
16 a 48 mensilità
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Sono
escluse le imprese di piccolissime dimensioni
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Portogallo
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Il
lavoratore può scegliere tra reintegra
e indennizzo.
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Minimo
tre mensilità
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Grecia
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Il
lavoratore può scegliere tra reintegra
e indennizzo.
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Germania
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Il
consiglio di azienda (Betriebsrat) deve
essere preventivamente informato del
licenziamento e deve giudicarne la validità.
Senza
preventiva consultazione, il licenziamento è
automaticamente nullo.
Nel
caso in cui il licenziamento sia considerato
giustificato, il lavoratore può comunque
presentarsi al giudice, ma avrà meno
possibilità di successo.
Il
giudice può ordinare la reintegra, ma
nella maggioranza dei casi prevale il
risarcimento.
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50%
dell’ultima retribuzione in base agli anni
di servizio, fino a un massimo di 12 anni (18
se l’anzianità è superiore ai 20 anni)
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Sono
escluse le imprese con meno di 5 dipendenti.
Vale
solo per lavoratori con
almeno
6 mensilità di servizio
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Norvegia
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L’ordinamento
prevede la reintegra, ma il giudice può
decidere che sussistono motivi tali da rendere
il proseguimento del rapporto di lavoro
"chiaramente irragionevole". In tal
caso è previsto il risarcimento.
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È
commisurato a una serie di parametri
soggettivi e contestuali
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Regno
Unito
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Il
giudice può ordinare la reintegra, la
riassunzione in un posto con caratteristiche
simili a quello perso o il pagamento di una
indennità.
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In
media 50.000 sterline (160.000.000 di lire)
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Nessun
limite dimensionale.
1
anno di servizio
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Olanda
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Il
giudice può ordinare la reintegra, ma
il datore di lavoro può decidere comunque per
l’indennizzo.
Importante
è il ruolo degli Uffici regionali del lavoro,
da cui dipende l’autorizzazione di un
licenziamento dubbiamente motivato.
Anche
se accade raramente, il licenziamento che
venga autorizzato, può comunque essere
contestato dal lavoratore. Se il giudice
accoglie la richiesta, il datore deve pagare
un indennizzo ancora maggiore.
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Francia
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Se
il vizio riguarda la procedura, l’organo che
deve giudicare è il Conseil de Proud’hommes
che può prevedere una penale e un
risarcimento.
Se
il vizio riguarda la causa, il giudice può
ordinare la reintegra o un
risarcimento.
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In
media 15-18 mensilità
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10
dipendenti
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Belgio
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Non
esiste alcun diritto di reintegra, ma solo un
indennizzo.
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Non
meno di 6 mensilità, a seconda che i
dipendente sia operaio o impiegato.
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Danimarca
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Il
reintegro non è escluso, ma è assai raro.
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Massimo
12 mensilità
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Finlandia
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Il
reintegro non è escluso, ma è assai raro.
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Massimo
24 mensilità e interventi di formazione
professionale
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Spagna
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Di
fronte al riconoscimento del carattere
ingiustificato da parte del giudice, il datore
può comunque scegliere tra il reintegro e
l’indennizzo.
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Dipende
dal fatto che le cause del licenziamento siano
oggettive o soggettive. Nel primo caso si
tratta di 33 giorni di retribuzione per ogni
anno di servizio fino a 24 mensilità. Nel
secondo di 45 giorni per un massimo di 42
mensilità.
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