CARLO SAFFIOTI
(Segretario Generale Amm. Provinciale di Lucca)

Appunti sulla delegabilità delle competenze dirigenziali


Il tema della possibilità di delegare funzioni all’interno della pubblica amministrazione ha fatto scorrere da tempo i tradizionali fiumi di inchiostro, appassionando giuristi, amministratori ed operatori del mondo pubblico.

Si deve riconoscere, preliminarmente, che il tema merita tutta l’attenzione che ha ricevuto perché, come è noto, è la stessa Costituzione a pretendere che l’assetto delle competenze sia stabilito per legge e dunque non si può prendere sotto gamba un precetto costituzionale se non si vuole dare un altro colpo - e di quelli robusti - al nostro ordinamento.

Si ritiene di dover sottolineare preliminarmente questo aspetto dal momento che, negli ultimi anni, la stessa Corte Costituzionale è dovuta intervenire più volte per ricondurre nell’alveo costituzionale decisioni legislative che risultavano in contrasto con alcuni dei principi più importanti contenuti nella Carta.

Di recente il legislatore è intervenuto con la legge n. 145 del 15 luglio 2002, che, introducendo il comma 1° bis all’articolo 17 del decreto legislativo 165/2001, ha previsto espressamente la delegabilità delle funzioni dirigenziali, nell’intento di chiarire definitivamente una questione che per molti anni è stata sotto i riflettori della dottrina e della giurisprudenza.

La nuova disposizione, dispone testualmente che: "I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile".

E’ iniziato immediatamente il solito lavorìo inteso ad allargare la portata della norma secondo una prassi ormai ben conosciuta e perseguita.

Sull’argomento è intervenuto, sulle pagine di questa rivista, Stefano Tenca, che, con uno scritto molto stringato, ha voluto spezzare una lancia in favore della tesi per cui - negli enti locali privi di dirigenti – la delegabilità delle funzioni dirigenziali potrebbe essere utilizzata anche dai responsabili di servizio.

Una delle principali argomentazioni addotte dal Tenca è rivolta ai comuni di minori dimensioni.

Sostiene, infatti, tale Autore che "La disposizione consente, nelle realtà locali minori, di realizzare l’ormai consolidato principio generale dell’ordinamento amministrativo di separazione tra funzioni di indirizzo spettanti agli organi politici ed attribuzioni gestionali demandate all’apparato burocratico: essa presenta contenuto sostanzialmente analogo al primo comma ove si riconosce in capo al Sindaco il potere, nei Comuni dotati di dirigenti, di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali."

Luigi Oliveri - con il quale il Tenca espressamente entra in polemica – ha garbatamente risposto su queste pagine evidenziando principalmente il concetto per cui, in base alla nuova normativa, il dirigente (qualunque dirigente) ha tra le sue competenze quella di poter delegare – nei modi e limiti di cui alla citata disposizione – quei dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate, nell’ambito degli uffici ad essi affidati.

Ben diversa è la posizione del funzionario non dirigente che, in quanto tale, non è minimamente oggetto dell’autorizzazione alla delega disposta dalla novella prima citata. La differenza è confermata, sostiene Oliveri, anche dalla considerazione per cui " … assume rilievo decisivo la lettura dell’articolo 109, comma 2, in combinazione con l’articolo 50, comma 10, del testo unico, che assegna al sindaco il potere di nominare i responsabili degli uffici e dei servizi, distinguendo questa funzione da quella di definire gli incarichi dirigenziali. La prima ha proprio lo scopo di costituire il presupposto per l’esercizio delle funzioni dirigenziali da parte dei funzionari; la seconda, invece, solo quella di determinare il rapporto organico tra dirigente ed ente (collocazione nelle funzioni di direzione di una certa area, in line o staff).

Pertanto, nel primo caso, se il funzionario delega le proprie funzioni ad altro dipendente:

a) provvede senza che la legge lo consenta;

b) aggira gli obblighi e le responsabilità derivanti dalla nomina come responsabile di servizio, presupposto necessario per l’esercizio delle funzioni dirigenziali."

Nel condividere la tesi dell’Oliveri, sia consentito aggiungere qualche ulteriore considerazione, cercando di dare un contributo sia sul piano giuridico che su quello pratico.

Sul piano giuridico, la considerazione del Tenca prima riportata, per la quale la sua tesi consentirebbe di realizzare il principio della distinzione dei ruoli negli enti minori, rischia di essere fuorviante sol che si presti attenzione al contenuto della norma in commento ed a quello dell’articolo 109, comma 2 del TUEL.

In primo luogo occorre richiamare la necessità del rispetto delle regole ermeneutiche, per le quali non è consentito eludere la chiarezza della legge, secondo il brocardo in claris non fit interpretatio. L’articolo 17, comma 1 bis si rivolge solo e soltanto ai dirigenti e non a tutti coloro che svolgono funzioni dirigenziali.

Se il legislatore lo avesse voluto, lo avrebbe detto e quindi, invece di parlare di dirigenti, avrebbe parlato di dirigenti o responsabili di servizio.

Una ulteriore considerazione è quella per cui – e non a caso – l’articolo 109, comma 2, dispone che le funzioni di cui all’articolo 107, commi 2 e 3, possono essere attribuite dal Sindaco ai responsabili degli uffici e dei servizi, indipendentemente dalla qualifica posseduta. Dunque il potere del Sindaco si esaurisce nell’assegnare le funzioni. Ciò significa, ovviamente, che i responsabili di servizio o di ufficio vedono aumentare le proprie funzioni ma non vengono affatto nominati dirigenti, con la conseguenza – tra l’altro - che non può esser loro applicata la norma di cui all’articolo 17, e tantomeno quella di cui al comma aggiunto sotto 1 bis.

Infatti, come fa ben notare l’Oliveri "il comma 2 è norma speciale, che consente la legittimazione "mediata" dell’esercizio delle funzioni dirigenziali da parte di chi non possiede la qualifica dirigenziale, "mediata" perché oltre alla previsione legislativa, occorre un provvedimento amministrativo del sindaco. Il fenomeno in questione è, sì, in tutto analogo a quello della delega, che ricorre in virtù di una doppia disposizione: la prima, normativa, che ammetta la delega; la seconda, amministrativa, che col conferimento effettivo metta in pratica quanto la legge consente. Dunque, se il funzionario non è competente ad esercitare le funzioni dirigenziali a titolo originario, ciò significa che esso è legittimato solo in via straordinaria ad esercitarle e non può ulteriormente, con proprio atto, modificare un assetto di competenze che è frutto di un provvedimento complesso legge-investitura del sindaco."

Ancora una considerazione, di carattere più pratico ma non per questo, forse, meno importante.

E’ opportuno, necessario ed urgente riflettere sulle conseguenze che, a lungo andare, derivano alla pubblica amministrazione e più ancora alla cittadinanza che ha necessità di servirsene, da una schizofrenia di fondo che, da un lato, vede la conclamata ed asserita volontà di professionalizzazione, specializzazione e responsabilizzazione del personale, mentre dall’altro il continuo ampliamento, senza limiti, dei parametri di valutazione, porta di fatto ad una diminuzione dell’affidabilità tecnico/gestionale di quegli operatori che - pur non essendo in possesso delle abilità e conoscenze necessarie – si vedono affidare grosse responsabilità gestionali.

Preoccupa e fa specie, in particolare, il fatto che sovente tutto questo viene fatto per mere ragioni di economia e rischia di tradursi, nei fatti, nello sfruttamento delle persone che finiscono per fungere da meri prestanome esponendo sé stessi ed anche gli utenti a rischi di non facile quantificazione.